Dal 6 al 10 febbraio al Teatro Sperimentale di Ancona
in scena per la Stagione Teatrale 2012/13 in abbonamento, curata dal Teatro Stabile delle Marche, Arturo Cirillo con un testo particolare di Annibale Ruccello, Ferdinando.
In scena con Cirillo un gruppo di attori straordinari che con il regista-attore lavorano da tempo, così come con il TSM in altre produzioni e spettacoli: Sabrina Scuccimarra e Monica Piseddu; con loro in palcoscenico anche Nino Bruno. Le musiche sono di Francesco De Melis, le scene di Dario Gessati, i costumi di Gianluca Falaschi, le luci di Badar Farok, storici collaboratori di Cirillo.
Arturo Cirillo torna ad Annibale Ruccello, giovane e innovativo drammaturgo napoletano purtroppo scomparso prematuramente, con “Ferdinando”, dopo essersi già cimentato con un altro testo dell’autore, Le cinque rose di Jennifer, che con il TSM ha portato in scena anche a Parigi.
Dalle note di regia di Arturo Cirillo – Logica ed inconsueta, allo steso tempo, mi appare la mia decisione di portare in scena Ferdinando di Annibale Ruccello. Logica perché riconosco in Ruccello un mio autore, un autore sul quale sono tornato più volte, e con spettacoli per me importanti.
Ma la scelta mi appare anche inconsueta, poiché per me Ferdinando è sempre stato legato allo spettacolo che curò l’autore stesso (nonché primo interprete del ruolo di Don Catellino), che ha girato per molti anni tutta l’Italia avvalendosi della grande interpretazione di Isa Danieli.
Inoltre per me il testo è sempre apparso molto diverso da tutti gli altri di Ruccello, un testo più realistico, storico, un dramma con una struttura classica.
Qualche mese fa rileggendolo ho avuto invece una visione, mi si è concretizzato un mio possibile “tradimento”, ovvero mi è apparso come un travestimento, un povero e meschino cerimoniale, come certi testi di Jean Genet, penso soprattutto a Le serve e a Il balcone. Un testo terribile per come rappresenta la depravazione, un atto di cannibalismo non meno estremo di “Anna Cappelli”, anche se non portato fino in fondo. Un rapporto col religioso pieno di cocenti contraddizioni e rappresentato con cruda violenza, ma sempre con quell’amore struggente che mi pare abbia Ruccello verso le ossessioni della sua vita.
Il desiderio per un inafferrabile adolescente, nato da un inconsolabile bisogno d’amore, matura nella mente di tre personaggi disperati (Donna Clotilde, Donna Gesualda e Don Catello), prigionieri della propria solitudine, esacerbati dall’abitudine. Allora tutto l’aspetto storico mi è apparso una finzione, un teatro della crudeltà mascherato da dramma borghese, in cui anche la lingua, il fantomatico napoletano in cui si sostanzia Donna Clotilde, è esso stesso lingua di scena, lingua di rappresentazione, non meno del tanto “schifato” italiano.
Una scena composta da un unica grande drappo che scende dall’alto e contiene il luogo dell’azione, un luogo claustrofobico in cui convivono tutti i personaggi, che vediamo spogliarsi, rivestirsi, incontrarsi (come in un film di Luis Bunuel). Personaggi rinchiusi in abiti scuri, monacali e preteschi, per devozione o lutto, ma forse solo per difesa. Illuminati da luci rivelatrici, come in un miracolo pagano, dove l’intimità delle note di un pianoforte convivono con quelle sontuose e barocche di un organo.
Poi c’è Ferdinando, ragazzino normale di un tempo presente, portatore solo del proprio corpo giovane sul quale gli altri tre personaggi, di questo quartetto, disegnano le proprie visioni e i propri desideri. Trascendendo dalla persona in sé, come spesso avviene nell’innamoramento, si ingannano e si lasciano ingannare. Dopo gli resta solo la constatazione del proprio fallimento e della propria folle e disperata solitudine, in un luogo spettrale abitato dai morti e dai ricordi.
Mi pare che con Ferdinando, ancora una volta e ancora di più, Ruccello faccia fuori i generi, sessuali e spettacolari, per mettere in scena l’ambiguo e il sortilegio -.
Arturo Cirillo si è avvicinato al teatro attraverso lo studio della danza, sia classica sia contemporanea. Si diploma, come attore, all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico di Roma nel 1992. Come attore ha lavorato con Massimo Castri, Pierpaolo Sepe, Davide Iodice, Annalisa Bianco e Virgilio Liberti, Massimiliano Civica. Ma è con Carlo Cecchi, nella cui compagnia resterà dal 1993 al 2000, che svolgerà la sua maggiore attività come attore. Successivamente si dedica anche alla regia teatrale, collaborando negli anni con molti attori, e creando gradualmente una compagnia. Negli anni ha ricevuto vari premi: Lo Straniero nel 1996, Coppola-Prati nel 1998, Associazione Nazionale Critici di Teatro nel 2004, Premio Ubu miglior regia nel 2004, Ubu migliore attore non protagonista nel 2006, Hystrio nel 2007, Vittorio Mezzogiorno nel 2009, Associazione Nazionale Critici di Teatro nel 2010. Con il Teatro Stabile delle Marche ha portato in scena Otello di Shakespeare, L’Avaro di Molière (in tournée nella seconda parte della prossima Stagione) e nel 2013 sarà poi nei teatri italiani con La purga di Feydeau.
Nel cinema, come attore, ha lavorato con Mario Martone (Morte di un matematico napoletano), Wilma Labate (La mia generazione), Silvio Soldini (Le acrobate), Tonino De Bernardi (Appassionate), Francesco Suriano (Il pugile e la ballerina). In televisione con Sandro Bolchi (Assunta Spina) e Mario Martone (trasposizione televisiva di Finale di partita).
Orario spettacoli da mercoledì 6 a sabato 9 ore 20.45 (sabato doppia recita alle 16.30 e alle 20.45) e domenica 10 febbraio ore 16.30.
Biglietteria 071 52525 biglietteria@teatrodellemuse.org – la sera stessa biglietti last minute e per i gruppi telefonare a 071 5021631 – www.stabilemarche.it