di Vitaliano Brancati
con Pippo Pattavina, Giovanna Di Rauso, Max Malatesta, Marcello Perracchio, Giovanni Guardiano, Veronica Gentili, Chiara Seminara, Ramona Polizzi
scene e costumi Santuzza Calì
musiche Pippo Russo
luci Franco Buzzanca
regia Maurizio Scaparro
produzione Teatro Stabile di Catania
Era il 1952 quando La governante, interdetta alle scene dalla censura perché “contraria alla morale”, accese una querelle non solo letteraria e teatrale, ma civile e politica, nella quale è inevitabile cogliere nodi tuttora irrisolti in termini di intolleranza, negazione della libertà di espressione, perbenismo, mali cronici di una società che annega nell’ipocrisia e si dibatte in un insanabile conflitto tra morale e pregiudizio. Nel sessantesimo anniversario della pubblicazione, è di Maurizio Scaparro il nuovo allestimento del capolavoro teatrale di Brancati. La prima messinscena dell’opera fu possibile finalmente solo nel 1965 in seguito alla soppressione dell’attività censoria, undici anni dopo la morte dell’autore, che aveva concepito il testo per la moglie Anna Proclemer, da allora protagonista più volte di una “commedia” che fa ancora molto discutere per la spietata critica sociale.
L’azione si svolge a Roma, in una ricca casa borghese. La governante francese Caterina Leher, charmante, colta e di fede calvinista, instaura un rapporto dialettico con il siciliano Leopoldo Platania, cattolico e severo capofamiglia, illuso di essersi integrato nella capitale e invece incapace di accettare un’etica diversa da quella in cui è cresciuto. Entrambi si struggono dentro, per colpe segrete: la prima vive l’omosessualità come peccato, l’altro sconta l’intransigenza moralistica mostrata alla figlia, morta suicida. Permissivo è invece Leopoldo nei confronti del figlio Enrico, che incarna il gallismo siculo ai danni della fragile moglie Elena. A frequentare assiduamente casa Platania è poi lo scrittore Alessandro Bonivaglia, intellettuale indolente ma lucido. Utilizzando un registro parodico e satirico che approda alla tragedia, l’autore descrive il clima oscurantista dell’Italia anni Cinquanta, laddove «l’odio per la cultura ha un ufficio apposito, che una volta si chiamava, con ironia involontaria, Ministero della Cultura Popolare e oggi Sottosegretariato per lo Spettacolo e le Informazioni». Il principale motivo del divieto censorio è da riscontrare in quest’esplicita accusa, mentre la materia “scabrosa” – l’omosessualità, per di più femminile, in quegli anni oggetto di riprovazione e tuttora non immune da discriminazioni – è descritta in maniera elegante, allusiva.
“Ma alla censura di allora importava più che il tema dell’omosessualità femminile l’accusa pesante che le rivolgeva il personaggio dello scrittore – sottolinea Maurizio Scaparro – quella di essere spia della cultura conservatrice ipocrita e conformista dell’epoca. Ed è questo forse il lato più sorprendente e attuale del testo, oggi. Quello di una Sicilia e di una Italia dei nostri padri e dei nostri nonni (dimenticato forse), certo sconosciuto ai più giovani, ma di cui è facile scoprirne ancora le tracce nella società italiana (non soltanto siciliana) e che Brancati sottolinea: da tutti i tabù sessuali, al gallismo, ai falsi moralismi, alle divisioni forzatamente etniche, alle censure appunto, alle ipocrisie dei poteri “ufficiali” di tutti i tempi. In questi momenti, in cui l’Italia si interroga con grande preoccupazione sulla capacità o meno di resistere alle difficoltà economiche ma anche politiche, sociali, morali, culturali soprattutto, le parole di Brancati sembrano così sorprendentemente superare il confine ristretto degli anni Cinquanta, che pure le avevano espresse. «Spirito di sacrificio? No. Non ho visto mai un ricco italiano proporre una legge che riduca i suoi guadagni per aumentare il benessere del suo Paese», dice ancora Bonivaglia. Forse anche per questo, mi piace dedicare questa fatica non soltanto a un divertito e tenero “come eravamo”, ma al “come sapremo essere”. Ai giovani, quindi, e al teatro, se saprà, come nei secoli ha saputo fare, aiutarci a costruire nuovi sogni e nuove realtà.”