È decisamente riduttivo credere che La scuola delle mogli di Molière si esaurisca nella, seppur centralissima, questione delle corna. Certo la gelosia e l’ossessione per il tradimento restano eccome, ma rappresentano solo il punto di partenza di un testo ricchissimo di spunti e tremendamente attuale, complicati rapporti fra i sessi, un pizzico di misoginia, la ricerca di un amore giovane… Lo dimostra a tutti gli effetti spettacolo, bellissimo, messo in scena da Marco Sciaccaluga che ripensa Molière come un moderno vaudeville dimostrandone, se ce ne fosse bisogno, la sua straordinaria modernità a distanza di oltre 4 secoli. Il primo colpo di scena è dato dalla trasposizione temporale: celato dietro un opulento drappo rosso con intarsi seicenteschi che trae il pubblico in inganno, si apre al ritorno di Arnolfo uno squisito, delizioso scorcio di una paesino della provincia francese pensato come una scatola scenica realizzata da Jean Marc Stehlé e Jean-Marc Stehlé e Catherine Rankl (anche costumista) che pone le due dimore l’una di fronte all’altra con i rassicuranti interni borghesi che nascondono indicibili insidie. Arnolfo viene fin da subito messo in guardia perché se è vero che tutto il mondo è pieno di satira e la maldicenza è in agguato è inevitabile che proprio lui, che ha sempre criticato la condotta altrui, non potrà non essere sbeffeggiato. “Meglio una donna brutta e stupida abbastanza, che una donna assai bella, ma molto intelligente” dichiara convinto Arnolfo che si accinge a sposare la giovane Agnese, la moglie ideale educata in un convento per restare sciocca e ignorante. È questo il migliore e unico modo per evitare le corna, ma Arnolfo suo malgrado scoprirà che non è così. Nella sua semplice e indotta ingenuità Agnese capitolerà dinanzi al primo corteggiatore che incontrerà. Il testo, magnificamente tradotto da Giovanni Raboni, conserva senza pedanteria e con leggerezza la struttura originale in versi ed Eros Pagni, anima dello spettacolo, è semplicemente superbo nel ruolo di Arnolfo (ruolo che nel 1662 era interpretato dallo stesso Molière che aveva sposato, quarantenne la ventenne Armande Béjart in una vicenda dal sapore autobiografico). Senza inutili exploit, Pagni resta sempre concentrato sul basso profilo, su parole calibrate, gesti quasi impercettibili delineando una maschera ironica e angosciosa, che desta quasi pietà alla fine, divorato dalla gelosia e sconfitto ineluttabilmente nella sua superbia (si era ribattezzato il signore Del Ciocco) dall’ingenuità e dall’individualità della giovane Agnese e perché no, anche dal caso, vero deus ex machina della chiusura. In un Molière che diventa quasi un dramma della gelosia non senza vis comica il cast è impeccabile, quasi perfetti, dall’ingenua e compita Agnese di Alice Arcuri ricca di teneri slanci, al bislacco Orazio (Roberto Serpi), a Roberto Alinghieri (Alain), Mariangeles Torres (Giorgina), Jean Marc Stehlé (proprio lo scenografo nella parte del servitore sciocco che pensa solo al denaro), Federico Vanni (Crisaldo), Marco Avogadro (Enrico), Massimo Cagnina (Oronte), Pier Luigi Pasino (un notaio). Una scuola delle mogli che piacerà anche a chi non ama i classici.