Tratto dal libro di Massimiliano VergaCon Francesco ColellaRegia Francesco Lagi Produzione Teatrodilina
Il personaggio di Zigulì, interpretato dall’unico attore in scena, è un uomo smarrito che si rapporta a se stesso e al figlio con ironia e stupore. Il figlio rimane invece invisibile, solo evocato e sempre presente come una piccola e misteriosa divinità. L’azione si svolge in uno spazio mentale, dove il padre si può di volta in volta perdere e ritrovare. Lui sarà a volte legato e altre volte sospeso a mezz’aria, oppure sdraiato o appeso a testa in giù. Il suo corpo non è mai stabile e perde continuamente la verticalità, in un luogo che non è più casa sua ma è il campo di battaglia dove si svolge la lotta con suo figlio. È un mondo chiuso dove ogni tanto penetrano dei raggi di sole: i tentativi di aprire degli spiragli sono il più delle volte fallimentari o portano solo all’illusione di un momento. Il tempo e lo spazio hanno l’aria di essere del tutto nuovi, diversi da quelli che il padre e il figlio condividono nella loro quotidianità. Il tempo che vivono ogni giorno, scandito da relazioni e impegni, passato tra strutture per la fisioterapia e assistenti sociali, è lontano. Il tempo del nostro racconto ha il sapore e la densità di quel tempo che il padre dedica al figlio. Un tempo che è solo loro, intimo. È dilatato, notturno, fatto di silenzi e cose inutili, a volte dolce e a volte insopportabile, che porta il padre a dimenticarsi di se stesso, del suo lavoro e delle sue ambizioni. È un mondo altro in cui le regole sono sconosciute e forse neanche ci sono. Ha a che fare con la coscienza nascosta del bambino, che appartiene anche all’adulto, ma lui non se lo ricorda più. Quello che ci interessa raccontare non è il mondo del figlio, non ci è dato conoscerlo, ma quello che lui ci mostra di sé contagiando l’esistenza di suo padre. Gli taglia l’anima, gli fa male e gli fa paura, lo atterrisce e lo fa incazzare. È molto forte il peso che hanno i corpi in questa storia. È una continua lotta fra due maschi, è un gioco virile, uno scontro fra maschio e maschio, il corpo del figlio contro il corpo del padre. Una lotta fisica estenuante, le testate, le spinte, i piedi in faccia, i morsi e i graffi tra gli abbracci e le esplosioni di risate. E poi la merda, le urla, la musica assordante. E, qualche volta, i baci. Perché in questa storia, che è soprattutto una storia d’amore, tutto questo accade disordinatamente, senza nessun galateo dei sentimenti. La musica, dal punk a Bach, è in questo rapporto come un’isola felice, un tentativo di sollievo, quando sono finite le parole e non rimane che sorridere e ballare. La messa in scena sarà rotta, fatta di slanci e di silenzi improvvisi, interrotta dal buio e da squarci di luce, che sono la sintesi visiva di questo racconto, cercando di dare corpo alle apparizioni e ai sentimenti discontinui del testo. La paura e il desiderio della morte. Il bisogno intimo di sparire e insieme di far sparire tutto con rabbia. La fragilità del padre, che è insieme desiderio di protezione ma anche vivida repulsione. L’intenzione di arrivare in fondo alla giornata ma anche il desiderio di finire tutto, ora. La pallina dolce di Zigulì e l’amore che lega i due personaggi, indissolubilmente. Il rapporto con la città e la natura. I legni da raccogliere e da intagliare, levare la crosta dei legni per accarezzarne le impurità, i nodi. La camicia che si sporca sempre, ånche prima di uscire è sempre da cambiare e che comunque sempre rimane sporca. Il lupo che il padre, prima o poi, vorrebbe incontrare.
Da giovedì 7 a domenica 10 marzo, ore 20.45 – domenica ore 16.00
Teatro Ringhiera
Piazza Fabio Chiesa, via Boifava 17 – Milano
Biglietti 15/12 euro
Compagnia ATIR / Ufficio Stampa
Referente Katia Angotti
email comunicazione@atirteatro.it
telefono 0287390039 / 0258325578