di Michael Frayn
regia di Leo Muscato
con Lunetta Savino e Emilio Solfrizzi
uno spettacolo prodotto da Roberto Toni
produzione ErreTiTeatro30 in collaborazione con LeArt’ Teatro
Per la prima volta insieme due esilaranti attori che sul palcoscenico mettono a nudo i paradossi della vita di coppia.
Debuttano per la prima volta in coppia Lunetta Savino e Emilio Solfrizzi protagonisti di storie matrimoniali in crisi dove si evidenzia con umorismo e tagliante sarcasmo l’universo, le mancanze, le tensioni, il logorio dei rapporti coniugali. Tre storie diverse che i due brillanti attori interpretano cogliendo le sfumature, gli sguardi, i gesti, le parole di un uomo e una donna nelle dinamiche di vita in comune coinvolgendo il pubblico in uno spettacolo che sorprende, diverte ma fa anche riflettere. Tornano quest’anno in Toscana al Teatro della Pergola, dopo il debutto del dicembre 2011 al Teatro Manzoni di Pistoia e dopo aver toccato 51 piazze italiane, replicando per 118 recite divertendo oltre 70.000 spettatori.
Questa commedia fu rappresentata per la prima volta a Londra nel 1970. Era l’esordio teatrale di Michael Frayn, un autore allora sconosciuto, che solo una decina d’anni dopo sarebbe diventato famoso in tutto il mondo grazie al successo di Rumori fuori scena. “Due di noi” è il titolo che racchiude tre atti unici, concepiti per essere recitati da un’unica coppia di attori che raccontano tre emblematiche e paradossali situazioni matrimoniali. Nella prima, Black and silver, un marito e una moglie, entrambi col sistema nervoso logorato da un pargoletto insonne e urlante, tornano in vacanza a Venezia nella stessa camera d’albergo dove avevano trascorso la luna di miele. Il confronto passato/presente è inevitabilmente comico, tenero, con una punta d’amarezza. Nella seconda, Mr.Foot, la comunicazione di coppia è praticamente azzerata: la moglie sopperisce dialogando in modo surreale con il piede del marito, l’unica parte del corpo che ne tradisce qualche sprazzo emotivo, ad onta della sua ostentata e glaciale indifferenza. L’ultima situazione, Chinamen, consiste in un vero e proprio virtuosismo drammaturgico e attorale: marito e moglie si ritrovano a dover gestire una cena alla quale hanno invitato, per errore, una coppia di amici da poco separati e il nuovo boyfriend di lei. Qui il meccanismo comico, spinto al limite della farsa, è potenziato dal fatto che gli stessi due attori, grazie ad un diabolico meccanismo di entrate, uscite e travestimenti, si trovano ad interpretare ben cinque ruoli diversi, dando vita ad un vorticoso crescendo di equivoci fino al paradosso finale. Sono passati ormai quarant’anni da quel felice esordio, ma la freschezza di queste piccole pièces è rimasta intatta, a riprova del loro valore teatrale e della bravura dell’autore.
MERCOLEDÌ 6 MARZO
Ore 18.30
Lunetta Savino e Emilio Solfrizzi
incontrano il pubblico in occasione dello spettacolo Due di noi
Ingresso libero
Orario spettacoli: dal martedì al sabato: ore 20.45, domenica: ore 15.45.
Prezzi biglietti interi: Platea: € 27 + € 3 (diritto di prevendita) € 30, Posto Palco: € 20+ € 2 (diritto di prevendita) € 22, Galleria: € 13,00 + € 2 (diritto di prevendita) € 15
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Paola Pace – Ufficio Stampa Teatro della Pergola, 055/2264347 tel. stampa@teatrodellapergola.com skype paola-pace
Due di noi: le interviste a Lunetta Savino e Emilio Solfrizzi
a cura di Angela Consagra.
LUNETTA SAVINO
Vedendo lo spettacolo, che cosa si comprende dei rapporti di coppia?
Indubbiamente che il matrimonio non è un’intesa facile. Michael Frayn ha scritto questo testo nel 1970, in un momento di grande contestazione generale, ed è una sorta di divertissement per due attori amanti della commedia e del trasformismo. Secondo me per certi versi il testo è un po’ datato però le situazioni raccontate sono abbastanza tipiche: il bambino che piange tutta la notte appartiene al vissuto di tanti e in questo caso la nascita di un figlio divide la coppia perché sconvolge completamente la quotidianità. Viene anche descritta l’incomunicabilità che può esistere tra un uomo e una donna, con lei che continua a bere tutto il tempo e lui che risponde solo con un movimento del piede, e dei tre episodi questo è il più amaro. La terza parte è quella più impegnativa perché richiede una maggiore capacità attorale e gioca molto sul trasformismo.
A proposito del trasformismo, parrucche e costumi quanto aiutano la comicità?
Parecchio, anche perché è necessaria una grande rapidità per diventare un altro personaggio: bastano una parrucca e un abito per entrare nel corpo di un altro. Io ed Emilio abbiamo lavorato molto sulla caratterizzazione fisica e questi accessori sono molto importanti, direi che sono la base per l’interpretazione. E’ famoso l’esempio di Stanislavskij che, studiando Otello, capì come interpretarlo quando si avvolse un turbante intorno alla testa: sono accessori minimi, elementari, ma se l’attore è capace di utilizzarli – come i bambini quando fanno finta di essere qualcun altro – allora lo spettatore sta al gioco.
Ai fini della comicità è difficile creare la giusta alchimia tra pubblico e attori?
Per noi attori è fondamentale che si crei un feeling con il pubblico perché è proprio il pubblico che scandisce insieme a noi il ritmo dello spettacolo. La comicità per me è molto vicina alla matematica e alla musica: bisogna avere un orecchio speciale per dire la battuta in quel tempo, per fare quella pausa; è un gioco difficilissimo che nasce dallo spirito di osservazione dei caratteri e dei difetti umani, e quindi dalla restituzione di quei tic e di quei difetti. Il lavoro dell’attore sta nel rendere credibile un personaggio diverso da sé, restituendo con pochi tratti, con poche pennellate, i tipi umani più diversi. Mi fa molto piacere quando mi dicono che sono un’attrice naturale, che non vuol dire essere quello che si è nella vita, assolutamente no: è il contrario, è rendere credibili tipi e personaggi che sono totalmente altro da te.
EMILIO SOLFRIZZI
Questo spettacolo è una riflessione sui rapporti coniugali…
Senz’altro i tre atti che compongono lo spettacolo sono la fotografia di tre diversi momenti di vita coniugale. Il secondo atto si concentra sulla comunicazione all’interno della coppia e l’autore ritrae un uomo e una donna in là con gli anni in un momento di apparente relax: il marito legge e la moglie seduta accanto a lui monologa, l’unica cosa che reagisce del marito è il piede che si muove. Lei interloquisce con questo piede umanizzandolo e infatti in una battuta divertente definisce la situazione un “ménage à trois”… Il primo atto è la fotografia di una coppia che ha avuto un figlio e che torna nella camera d’albergo dove aveva trascorso la prima notte di nozze, trovandosi a fare i conti con il prima e il dopo… Del terzo atto non svelo niente: lo spettacolo è costruito perché il finale sia un vero e proprio fuoco d’artificio, un crescendo di comicità che si avvicina molto alla farsa. Sono comunque tre istantanee fatte apposta perché ognuno di noi si possa riconoscere in determinati momenti dell’esistenza, tre diversi tipi di comicità.
Per voi in scena il pubblico che importanza assume?
Il pubblico è il terzo interprete di questo spettacolo, con le risate ne scandisce i tempi e i ritmi. In giro per l’Italia abbiamo trovato dappertutto un pubblico disponibile al divertimento e ad entrare immediatamente nello spirito della commedia. Alla fine dello spettacolo ho sempre la sensazione che l’applauso sia liberatorio e grato. Ancora di più in tempi di crisi è importante riuscire a far divertire le persone, si entra in teatro e si lasciano fuori i problemi quotidiani.
Parlando di comicità, Franca Valeri la definisce un mistero. Lei come la definirebbe?
Mi piace molto la definizione di Franca Valeri, ma trovo che quella di Pirandello mi corrisponda di più, quando dice che la comicità è il sentimento del contrario: banalizzando, è la caduta sulla buccia di banana che fa scaturire la risata in chi guarda. Attraverso la comicità è facile raccontare la tragedia, d’altronde la commedia all’italiana è famosa nel mondo proprio per questo: i nostri più grandi registi sono riusciti a raccontare momenti di straordinaria tragicità attraverso il sorriso.
I vostri travestimenti aiutano la comicità?
Il regista Leo Muscato ha avuto la bella idea di ambientare lo spettacolo negli anni Settanta, proprio il periodo in cui è stato scritto il testo; anche i costumi che seguono la moda del tempo caratterizzano i personaggi e li rendono immediatamente riconoscibili, non si deve perdere tempo in introspezioni psicologiche. Tutto è disegnato, raccontato, tratteggiato con toni molto accesi, a cominciare dai costumi e dalla scenografia. Comunque per noi attori è uno spettacolo davvero faticoso: i cambi d’abito avvengono con un ritmo frenetico e il riconoscimento dei caratteri deve essere immediato, altrimenti diventa tutto difficile. Credo che la nostra sia una bellissima sfida, che è proprio quella di mettersi in gioco.