Torino, Teatro Regio – Stagione d’opera 2012-2013
Don Giovanni, dramma giocoso in due atti di Wolfgang Amadeus Mozart su libretto di Lorenzo Da Ponte, è stato proposto al Teatro Regio di Torino con l’allestimento della stagione 2004-2005, che vide Michele Placido debuttare come regista d’opera, regia ripresa e curata oggi da Vittorio Borrelli, a fianco di Maurizio Balò come scenografo e costumista, Andrea Anfossi come light desiner, Tiziana Tosco per i movimenti coreografici, Saverio Santoliquido come direttore dell’allestimento.
La scena è prevalentemente scura ed è appesantita dalla costante presenza di un greve sipario di velluto nero bordato di fregi dorati che allude alla morte, perché somiglia alla coperta di un catafalco. Per i cambi scena si effettuano molte chiusure di sipario, davanti al quale vengono cantate arie solistiche, duetti e terzetti; la scena d’apertura con lampione ritorna più di una volta e così il muro grigio sormontato da vasi di agavi, è un alto muro anche il balcone di Elvira da cui scende un lenzuolo bianco per far nascondere Don Giovanni mentre Leporello finge di essere il Don che canta Deh vieni alla finestra, davanti al cimitero con statue e tombe c’è ancora un muro sul quale interagiscono servo e padrone. Il colore arriva alla fine ed è un rosso violento: nella sala da pranzo del Don affrescata con figure diaboliche ed erotiche, nella scena della morte del protagonista con il fuoco dell’inferno. Spiritoso l’incontro di Zerlina e Masetto dopo il “fattaccio”. Geniale scelta registica quella di far rispondere la statua del commendatore, un angelo con la spada, col movimento delle ali e con un flash di luce in viso. Originale l’idea di aprire le pareti della stanza della cena e di far entrare tutto il gruppo marmoreo del cimitero tra fumo e luce livida sulla faccia del Don, che si arrampica sulla statua e viene inghiottito con tutto il blocco. Genialissima la trovata di far risbucare dal sipario Don Giovanni, dopo il canto liberatorio, mostrando solo il viso con una risata beffarda nel 1° cast, presentandosi con tutta la sua fisicità nel 2° cast, perché in realtà Don Giovanni sarà sempre presente, anzi sembra aver trasmesso i suoi vizi ad Elvira che alla fine strizza l’occhio a Leporello.
Ho trovato alcune imprecisioni: nell’aria “Il mio tesoro intanto” Don Ottavio chiede agli altri di andare a consolare Donna Anna, ma, quando pronuncia la frase “Ditele che i suoi torti a vendicar io vado”, gli altri se ne sono già andati; nella scena del cimitero c’è poco terrore e troppa luce, i due se ne stanno in piedi sul muretto a zuzzurellare e c’è più luce al cimitero di notte che altrove di giorno, manca la luce anche nell’assieme finale.
Gli abiti sono belli e di foggia moderna.
Il clavicembalista e direttore d’orchestra Christopher Hogwood alla guida dell’Orchestra del Regio tiene tempi un po’ lenti e poco incisivi nelle parti dell’ouverture che annunciano il dramma, più mossi nelle pagine frizzanti e giocose dove emerge la leggerezza dei violini, in corso d’opera osserva il rispetto delle voci e il dettato della partitura.
Cantanti del primo cast.
Carlos Álvarez è un Don Giovanni concreto e diretto, canta bene e con dizione chiara, ma senza entrare nel linguaggio intrinseco alla psicologia del personaggio,la canzonetta “Deh vieni alla finestra” accompagnata dal mandolino, il duettino con Zerlina “Là ci darem la mano”, il pezzo di bravura di “Fin ch’han dal vino”, tanto per fare degli esempi, dovrebbero essere interpretate in modo differenziato; la voce baritonale dal timbro scuro e dal suono talvolta cupo non ha problemi ad affrontare la tessitura acuta, ma dovrebbe acquistare in morbidezza per rendere tutte le sfumature del canto mozartiano (Ramey docet) e mantenere pienezza ed efficienza fino alla fine (“Viva le femmine”).
Il basso Carlo Lepore, versatile e spigliato nelle vesti di Leporello, si impone per una vocalità ampia, estesa, timbrata, duttile, di bel colore e di notevole spessore in ogni registro, porge con eleganza e pastosità del suono, abilissimo nel canto sillabato e scandito, preciso nel canto e nelle variazioni, dà spessore alla frase che accompagna con mimica adeguata.
Il tenore tedesco-croato Tomislav Mužek (Don Ottavio) canta bene, ha voce chiara e fiati tenuti, fa belle variazioni nell’aria «Il mio tesoro intanto», ma una maggior flessibilità gli avrebbe evitato la stecchina nel canto finale.
Il baritono Federico Longhi (Masetto) è un bravo interprete, ma fiacco dal punto di vista vocale.
Il basso José Antonio García è una figura imponente nel ruolo del Commendatore, che da fuori campo fa giungere una voce inquietante con suoni lunghi, ma ingolata, poco sonora e poco gradevole.
Tra le femmine il soprano Eva Mei è una Donna Anna elegante e musicale, emerge per pulizia vocale, fraseggio accurato, emissione sul fiato, luminosità nella tessitura acuta, scarsa densità dei suoni gravi; nella preziosa aria e cadenza del II atto «Non mi dir bell’idol mio», accompagnata dal corno e dagli archi, esibisce suoni sospesi, pulitissimi e morbidi, filati sonori e lucidi.
Carmela Remigio è un’Elvira prorompente che gestisce bene una vocalità sopranile pulita, luminosa e agile, con suoni pieni e vibranti e buon dosaggio del fiato, sa addolcire e attaccare a mezzavoce, canta e interpreta molto bene il recitativo e l’aria «Mi tradì quell’alma ingrata» (applauso), ma talvolta si sente il bisogno di maggior spessore, emerge nel finale.
Rocío Ignacio (Zerlina) è la più scura delle tre donne, la voce non è grande, i suoni sono belli ma appaiono gonfiati, il soprano esegue tecnicamente bene la sua parte ma c’è poca naturalezza d’emissione e poca morbidezza del canto (“Vedrai carino”).
Secondo cast.
Markus Verba è un Don Giovanni teatralmente perfetto: è un bel personaggio esuberante dalla presenza accattivante, un ragazzo biondo dei nostri giorni coi capelli lunghi, galante ed elegante, smaliziato, baldanzoso, sensuale e intrigante nei corteggiamenti, molto sicuro in palcoscenico, ma vocalmente non è di prima qualità: la voce è aspra e leggera e a volte al limite dell’intonazione (“Deh, vieni alla finestra”), nel duetto con Zerlina “Là ci darem la mano” lei è dolce e sensibile, lui è freddo ed immobile e ha voce corta, è timbrato nei recitativi e la parola è chiara, ma nel canto, seppur a volte seducente e morbido, la voce è poco sonora. All’ora della cena la voce non si sente più (“Lascia ch’io mangi”).
Mirco Palazzi è un Leporello mobilissimo, sempre pronto a scattare, la voce ha colore meraviglioso, estensione notevole, sicurezza e fluidità d’emissione in tutti i registri, la linea di canto è morbida, tutti i suoni sono a posto e rotondi anche nelle variazioni e nel canto sbalzato, le note gravi sono poderose, la scansione della parola è timbrata, i recitativi sono musicali e chiari. L’elemento basilare del canto is the flexibility, diceva Ramey, e Mirco ce l’ha.
Maria Grazia Schiavo (Anna) ha una notevole gettata di voce, di bel timbro, dal suono pieno e rotondo, ha un corretto modo di porgere, perché l’emissione è naturale (“Or sai che l’onore”), la voce è flessibile, esegue di forza belle progressioni e ogni tanto smorza dosando il fiato con morbidezza; nell’aria più bella dell’opera che va al cuore “Non mi dir bell’idol mio” con corno e violini sale con grande facilità e bellezza del suono a sovracuti cristallini, fa attacchi in acuto a mezza voce, filati splendidi, picchiettati in acuto con un’agilità e una fluidità sorprendenti. Favolosa!
Daniela Schillaci (Elvira) interpreta bene i brani infuocati con la giusta irruenza vocale, perché ha voce tagliente ben appoggiata in ogni registro ma con acuti un po’ strillati (“Ah, chi mi dice mai”, “Ah, fuggi il traditor”), tratteggia le agilità con dizione chiara e addolcisce il canto al pensiero del suo uomo (“Non ti fidar o misera”), esterna tutta la sua furia nell’aria “Mi tradì quell’alma ingrata” con fluidità d’emissione e accento incisivo.
Rosa Feola è una Zerlina dolce e musicale, la voce è leggera ma ben modulata, i suoni sono pieni e melodiosi nella bellissima e delicata aria “Batti batti bel Masetto”, dove il soprano riesce a restituire la ricchezza melodica mozartiana, tocca bene tutti i registri con suoni morbidi e proiezione fluida del suono nell’aria “Vedrai carino”.
Francesco Marsiglia (Ottavio) ha voce chiara, svettante, rigida (“Lo giuro agli occhi tuoi”) e con vibrato, il timbro non è accattivante, il tenore sa assottigliare, ma sbianca i filati acuti (“Dalla sua pace”), attacca freddamente e in modo rigido l’aria “Il mio tesoro intanto”, la esegue bene ma invece di filare i suoni li trema, manca di flessibilità pertanto l’acuto è corto e spezzato, i recitativi sono chiari e nitidi, la linea di canto è piatta e nasaleggiante, i suoni sono tenuti ma sempre con la stessa intensità.
Delizioso il terzetto delle maschere.
Masetto e il Commendatore sono gli stessi cantanti nei due cast.