Dopo il successo di Tutto per bene e la maschera triste e ossequiosa di Martino Lori, Gabriele Lavia sceglie ancora Luigi Pirandello portando stavolta in scena La trappola. C’è da dire che la novella più disperata e filosofica del Premio Nobel italiano (scritta nel 1912) è oggettivamente molto difficile da portare in scena e Gabriele Lavia (che cura adattamento e regia) risolve con un monologo serrato di poco più di un’ora, ora tragicamente comico, ora ossessivo, ora disperato in cui il protagonista, Fabrizio, è un uomo angosciato dalla vita, consapevole della tragica realtà, della condanna dell’uomo e della sua trappola: l’uomo nasce per morire e resta diviso fra l’inganno della forma e la trappola della vita. La vita è trappola e l’uomo ne è disperatamente consapevole: Gabriele Lavia piange, si dispera, si agita, si angoscia, sorride, legge, interagisce empaticamente con il pubblico, rivede gli oggetti che lo riflettono inesorabilmente e che gli ricordano la sua condizione senza ritorno. Anche la casa dell’uomo (le scene sono di Alessandro Camera) è una trappola che lo riflette interamente, fra angoli bui ed enormi librerie piene di volumi pieni della filosofia tedesca da Schopenhauer a Nietzsche. Ma neppure la filosofia riesce a confortare l’uomo se non gettarlo in una ancor più totale e assoluta disperazione. Lavia si impadronisce del testo e rende partecipe il pubblico che “ogni forma è la morte”, della disperazione della trappola, in un ambiente claustrofobico e ossessivo che gli ricorda in ogni momento il tormento dell’inesorabile fine perfino nella nascita di bambini condannati a finire in trappola. È per questo che Fabrizio si trova costretto ad odiare tutte le donne, mistificatrici e responsabili di mettere al mondo uomini condannati a cadere in trappola. La sua misoginia non potrà che trovare ulteriore conferma ancora una volta quando suo malgrado, sarà sedotto (in una scena dai ritmi comici quasi cinematografici) dalla bellezza di una mistificatrice (la suadente Giovanna Guida ) che inganna il proprio marito. E se il dolore sulla propria condizione umana e la consapevolezza della morte incombono fin dall’inizio nel “buio, dove la verità si scopre più profonda” con il padre del protagonista (Riccardo Monitillo) infermo, che piange nell’altra stanza, il monologo, quasi una sorta di delirio per riflettere sulla condizione umana, sulla vecchiaia non potrà che risolversi nella puntuale e annunciata chiusura. Accolta con successo dal pubblico, La trappola era stata presentata in anteprima lo scorso anno, nata come omaggio speciale per il pubblico dei Teatri di Cintura per la collaborazione del Teatro di Roma con i teatri di Tor Bella Monaca e del Quarticciolo. In scena a Roma fino al 24 marzo, poi in tournèe in varie città italiane (Rieti, Montalto di Castro, Latina, Parma, San Sepolcro, Lucca, Jesi, Recanati, Fano) per chiudere a Terni il 24 aprile.