Prima o poi capita a tutti nella vita d’imbattersi nell’ottusità del potere (e dello Stato), incapace o ben consapevole di non voler ascoltare i cittadini prestando loro la necessaria attenzione. Un argomento quanto mai attuale che Eduardo De Filippo aveva posto al centro de L’arte della commedia (del 1964) che la compagnia del Teatro Mimino diretta da Michele Sinisi porta in scena al Piccolo Eliseo di Roma fino al prossimo 17 marzo.
È proprio l’arroganza e l’indifferenza del prefetto De Caro a rappresentare la causa scatenante ne L’arte della commedia: quando infatti il prefetto (irascibile, sgarbato e arrogante) appena insediato nel piccolo capoluogo, riceve la visita di Oreste Campese (lo stesso Sinisi ovviamente, il ruolo che ogni regista riserva per sé), capocomico di una compagnia di guitti colta da disgrazia a causa dell’incendio del capannone, si capisce subito che si tratta di due personalità e di due mondi totalmente diversi.
I due uomini parlano del teatro e della sua crisi, della condizione dell’attore, fino alla responsabilità degli autori teatrali e della validità dei loro testi, ma le posizioni sono e restano inconciliabili e quando Campese invita De Caro a un rappresentazione a teatro per dare lustro allo spettacolo, viene bruscamente cacciato via.
A questo punto Campese, entrato in possesso della lista delle persone che il prefetto dovrà ricevere in giornata, ma senza conoscerle personalmente, lancia una sfida all’autorità. Le persone che si presenteranno in prefettura sono veri cittadini o gli abili attori di Campese che stanno interpretando una parte? Da questo momento in poi e fino alla fine, realtà e finzione si confondono senza soluzione di continuità, davanti al prefetto e allo spettatore, incapace di distinguere la verità.
L’ambientazione semplice e un po’ Anni Settanta (anche nei costumi, nelle lunghe barbe, nei capelli o nella semplice montatura degli occhiali) trasforma la vicenda in un luogo e in un tempo quasi indefinito, ma efficace nel delineare una vera e propria escalation comica che prende vita sopratutto alla fine del primo atto quando De Caro e il suo segretario Franci (bravissimi, due facce della stessa medaglia del potere e della burocrazia) si rendono conto del rischio che corrono, ossessionati dall’idea di venire ingannati da Campese, sfiorando il (vero o finto?) dramma. Sono bravi attori o veri cittadini che presentano al prefetto le loro strane richieste ponendo di fronte ai suoi occhi una carrellata di umanità e di quotidianità di ogni genere? Finale assolutamente aperto che non risolve il dubbio fino alla fine, fra la giusta dose di comicità e di tragicità per uno dei testi più belli (e strani) di Eduardo, ottima materia prima per la compagnia pugliese (Michele Altamura, Vittorio Continelli, Nicola Conversano, Simonetta Damato, Nicola Di Chio, Patrizia Labianca, Riccardo Lanzarone, Gabriele Paolocà, Michele Sinisi) che si dimostra all’altezza della situazione. Menzione speciale alla coppia De Caro-Franci. In scena al Piccolo Eliseo di Roma fino al 17 marzo.