Nella piccola, accogliente Sala Bausch del nuovo Teatro Puccini, due storici attori della compagnia dell’Elfo (Corinna Agustoni e Luca Toracca) siedono in uno spazio scenico di piccole dimensioni. Il loro viso è impietrito e l’espressione esprime lo sconcerto prodotto dalle domande incalzanti e ossessive che una voce fuori campo (Ferdinando Bruni) di un telecronista della locale stazione televisiva gli rivolge. I personaggi sono due coniugi Emily e Frank Gulick, una coppia della middle class della provincia americana, che hanno accettato di farsi intervistare dopo l’arresto del loro figlio accusato di aver assassinato una giovanissima vicina di casa. L’interlocutore parla «in una lingua colta, fa citazioni filosofiche, che spiazzano i suoi ospiti e li trova impreparati, inadeguati». Invece il linguaggio dei coniugi Gulick, secondo il regista Francesco Frongia, «è molto semplice: spesso sono in difficoltà nel trovare le parole con cui rispondere, non sanno formulare un pensiero completo senza l’aiuto dell’altro. Come le vecchie coppie, si parlano addosso, si intromettono nel pensiero del coniuge… Fanno tenerezza nel loro goffo sforzo di darsi un tono mentre la voce li incalza, li incita a ricordare quello che vorrebbero dimenticare per sempre». Emily e Frank Gulick sono dunque imprigionati nella ragnatela di uno schema valoriale che non gli consente di mettere in discussione il nucleo familiare come centro fondante di una società che sotto l’ipocrisia del perbenismo nasconde una realtà bigotta, razzista, incapace di capire il vuoto, il malessere esistenziale delle giovani generazioni. I coniugi Gulick malgrado gli sbandamenti conseguenti alle prove di evidente colpevolezza del figlio e della sua indole criminale, barcollano ma non crollano, non accettano una realtà che porta il caos nelle loro vite, una nota di inammissibile disarmonia. La J.C. Oates fustiga con ironia e sarcasmo il conformismo della società americana, si spende in una profonda analisi psicologica per capire e far capire il deficit di valori e il conseguente malessere contemporaneo. Ma questa indagine deve far riflettere anche noi moralisti d’accatto, maestrini con il sopracciglio alzato che viviamo in una società il cui modello culturale impone ai genitori di derubricare in ragazzate le violenze dei figli. Non si limiti quindi la riflessione alla società americana e si abbia il coraggio di tirare fuori i nostri scheletri che in verità non sono più da tempo nell’armadio, ma come zombi si moltiplicano in questa società di figlie veline, di madri ruffiane, di grandi fratelli e disgustosi “isolani”. Luca Toracca e Corinna Agustoni si sono calati nel ruolo dei coniugi Gulick con straordinaria abilità. Le modulazioni, gli accenti, la gestualità e la mimica sono sempre funzionali all’azione al punto da farci dimenticare che il teatro è finzione. Ottima la regia di Francesco Frongia.