di Tennessee Williams
traduzione di Gerardo Guerrieri
regia di Massimo Greco
con Francesco Petruzzelli, Francesco Sferrazza Papa, Silvia Valsesia, Elisabetta Vergani
musiche eseguite in scena da Luca Grazioli
scenografie Alberto Favretto
costumi Nadia Venegoni – La nuova sartoria
progetto visivo e foto di scena Fabio Cinicola
luci Luca Siola
progetto grafico Andrea Meroni
produzione Teatro Out Off e Emisfero Destro Teatro
Prima Nazionale
Lo zoo di vetro viene presentato per gentile concessione della University of the South, Sewanee, Tennessee.
Thomas Lanier, in arte Tennessee Williams, era ossessionato da quelle figure cosiddette “outsider” attraverso le quali esplorava quella parte della natura umana che lui usava definire “unlighted ” (non in luce).
I suoi drammi diventano così eterni, a prescindere dall’epoca in cui sono ambientati, proprio perché i personaggi che li abitano sono molto simili a quella parte di società in cui noi oggi viviamo, troppo fragile per poter convivere in un mondo così spietato. Personaggi che sembrano più intenti ad evitare la realtà che ad affrontarla.
“No-one, not even the rain has such small hands…” questa frase è un’epigrafe de Lo Zoo di vetro perché comunica in modo perfetto la fragilità e il tenero calore del mondo e dei personaggi dell’opera a cui viene presentata una via di fuga ma, come accade a molti di noi, nella ricerca di questa via di uscita si aggrovigliano, intrappolandosi sempre di più nei loro problemi.
Nel 1944 Tennessee Williams finisce di scrivere Lo Zoo di Vetro, l’opera più autobiografica di tutti i suoi scritti e dichiarerà: “Forse non ho più nient’altro di buono da dire”.
Per nostra fortuna non fu così.
La storia narra le vicende di una famiglia americana decaduta durante l’epoca post-bellica degli anni ’30, in uno Stato del Sud. Amanda, la madre, ricorda di quando era una ragazza ammirata e corteggiata ma allo stesso tempo è consapevole della sua attuale condizione, che la costringe ad una dura lotta giornaliera per il mantenimento di un nucleo familiare solo apparentemente solido e unito. Ha un figlio, Tom, ed una figlia zoppa, Laura, ragazza fragile, timida, inadatta alla vita che custodisce con immensa cura la collezione di piccoli animali di vetro che dà il nome e il senso all’intero dramma. Amanda tenta di contrastare questa fragilità con tale vitalità da riuscire a convincere Tom ad invitare a pranzo un collega di lavoro, coltivando in cuor suo la speranza che dall’incontro con Laura possa nascere un rapporto, un dialogo, qualcosa che provochi un mutamento. Tom invita Jim O’Conor, di cui Laura era segretamente invaghita ai tempi del liceo, la personificazione dell’ideale di Laura. Jim è infatti educato, cortese, impeccabile, ma la speranza subito delusa di un futuro, l’ennesima illusione spezzata rompono per sempre il labile e precario equilibrio di quel fragile nucleo familiare. Tom parte per sempre portandosi via il suo fagotto pieno di rimorsi.
Fin dalla prima lettura del testo ho avuto la netta sensazione che “Lo zoo di vetro” fosse di un’ attualità sconcertante, in verità tutta una certa drammaturgia Americana di cui fanno parte Arthur Miller, Tennessee Williams ed altri, sembra aderire perfettamente alla odierna situazione italiana dal punto di vista socio economico. Situazione che sempre più provoca una spaccatura profonda tra ricchezza e povertà, distruggendo cosi quel ceto medio che da sempre è stato la spina dorsale del nostro paese. Questo costringe una parte della società a correre e quando una società è costretta a correre c’è sempre qualcuno che rimane indietro perché non ce la fa. Ed è ovvio che il difetto fisico che colpisce la gamba di Laura diventa il simbolo dell’impossibilità di stare al passo con i tempi.
Per affrontare i personaggi di Laura, Amanda e Jim ho iniziato dall’esplorazione dello stato emotivo, fisico e mentale di Tom e questo mi ha permesso di non avere bisogno di un approccio realistico perché, sebbene l’opera tratta e prende spunto da un momento specifico della storia americana (la fine della grande depressione), ci sono nella nostra proposta elementi altamente espressionistici, sia nella concezione della scena, sia nell’uso della luce, che nella recitazione. Questi tocchi espressionistici, d’altronde, si avvertono fortemente anche nella ricerca di Williams che fu sicuramente influenzato dagli scrittori ante guerra europei.
Tutto questo ha consentito ad assecondare il desiderio primario che mi ha attratto verso quest’opera, quello di confrontarmi con la messa scena di questo memory play e poter utilizzare lo spazio e le dinamiche che ospita come parte del ricordo di Tom, come se il tutto fosse filtrato dalla sua mente che cerca di recuperare gli eventi della memoria.
Per allontanarci dalla “trappola” del naturalismo ho cercato quindi di suggerire agli attori di “agire gli eventi” così come affiorano alla mente da un ricordo piuttosto che rappresentarli all’interno di un qui ed ora. Ed è stata questa nozione di memoria a dominare tutta la nostra messa in scena.
Un aiuto molto grande è arrivato dall’uso della luce e non solo dal punto di vista del “disegno luci”, che è di fondamentale importanza ne “Lo zoo di vetro”, ma piuttosto perché in questa opera la luce è un simbolo di speranza. Mi riferisco alla luce interiore dei personaggi che sono in cerca di una “luminosa speranza” e che vivono attimi di momentaneo splendore, non reale né duraturo, che anticipa la fine e in cui la speranza si dissolve. Tom, Amanda e Laura cercano costantemente nel loro futuro sicurezza e speranza. In tutta la storia si trovano barlumi di speranza, ma ogni volta questi si spengono, come alla fine del dramma dove si rimane al lume delle candele che Laura sarà invitata a spegnere. Questo spegnimento prefigura la fine delle speranze della famiglia.
E’ per questo che ho sempre amato il modo con cui Williams usava definire i suoi personaggi: “Unlighted”.
Massimo Greco
Massimo Greco Studia recitazione e regia tra gli altri con Dominique De Fazio, Danio Manfredini, Ambra D’Amico, Maurizio Schmidt; docente alla Civica scuola di animazione pedagogica e sociale di Milano fonda l’Associazione Culturale “Emisfero Destro Teatro”. Come regista di teatro vanta al suo attivo numerose opere mettendo in scena testi di Shakespeare, Sofocle, Tonino Guerra, Franca Rame e Dario Fo.
Come attore protagonista lavora con Lorenzo Loris, Maurizio Schmidt, Giorgio Albertazzi, Antonio Rosti.
Informazioni
Prenotel 0234532140 lunedì ore 10 > 18 e martedì> venerdì ore 10 > 20
Ritiro biglietti Uffici via Principe Eugenio 22. Lunedì > venerdì ore 11 > 13;
Botteghino del teatro , via Mac Mahon 16 , nei giorni di spettacolo , un’ora prima dell’inizio;
il sabato ore 11 > 13 e 16 > 22 . Domenica, dalle 15.
Abbonamento Outoffcard Intero 72 Euro 6 spettacoli a scelta (tranne gli spettacoli fuori abbonamento) – Under 25 54 Euro; over 65 42 euro
Spettacolo in abbonamento Invito a Teatro
Prevendita:
Intero: 18,00 Euro – costo prevendita e prenotazione 1,50/1,00 Euro
Riduzione: 12,00 Euro under 25 ; 9,00 Euro over 65
Convenzione con il Comune di Milano
Orari spettacoli: da martedì a sabato ore 20.45; domenica ore 16.00
trasporti pubblici: tram 12-14 bus 78 Accesso disabili con aiuto
Teatro Out Off
Via Mac Mahon, 16 – 20155 Milano
Uffici via Principe Eugenio 22 telefono 02.34532140
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