La perfezione formale di questo spettacolo non mi convince proprio a motivo della sua perfezione. E’ uno spettacolo “eccessivo” sovradimensionato rispetto al contenuto. La complessa struttura drammaturgica, eccellente dal lato creativo e artistico, va ben oltre il contenuto. Avremmo preferito, attraverso una lettura scenica, ascoltare e creare con la nostra sensibilità e fantasia le vicende scritte da suor Maria Celeste al padre Galileo Galilei piuttosto che in una (sia pure molto suggestiva) confezione in cui il video, i suoni, le musiche, gli echi e le sconcertanti pause più che dare un valore aggiunto rendono ancillare il contenuto del carteggio. L’emozione più che dal testo è prodotta e moltiplicata dalla narrazione drammaturgica. “Stellarum Opifice“ è uno spettacolo estetizzante caratterizzato dal compiacimento del regista che mette in scena una sua creatura, un’opera (presa in sé) molto bella fatta di installazioni meglio classificabili nel domino dell’arte figurativa. Risulta in ogni caso uno spettacolo suggestivo e ad alto tasso poetico.
Le lettere che Maria Celeste scrive dal convento in cui era stata rinchiusa dall’età di 13 anni, a Galileo, padre troppo distratto dalle speculazioni celesti, rimangono inevase. Sono lettere affettuose, semplici, colme di grande amore, lettere che raccontano la vita e i piccoli problemi quotidiani e gli accadimenti che emozionano la fanciulla come il tentato suicidio della Madre Superiora. In altre supplica il padre di abiurare per evitare la drammatica sentenza da parte dell’inquisizione che lei, pur dalla clausura, dimostra di conoscere. Il padre, per quel che se ne sa perché molti documenti sono stati bruciati dopo la sua morte, si limita ad una saltuaria corrispondenza nella quale non si respira aria di sentimenti, di amore e comprensione. Galileo parla solo dei suoi problemi e del suo “universo stellato”. “Ah, se V.S. potesse penetrar l’animo e il desiderio mio come penetra i cieli” scrive Maria Celeste in una delle sue lettere.
La bravissima Federica Bern che interpreta la figlia illegittima Virginia (suor Maria Celeste) è costretta in un abito da suora rigido e claustrofobico (disegnato da Nicolas Hunerwadel) che rappresenta la condizione di clausura in cui vive. Un applauso meritato a Francesco Scandale che con la sua video installazione e a David Barittoni e Giacomo Da Caterini con le musiche e i suoni hanno costruito il corpus della di questa “performance” Il progetto e la regia sono di Marco Carniti e Federica Bern responsabili nel bene e nel discutibile di questo spettacolo che è riduttivo chiamare melologo.