Al Teatro dell’Opera di Roma, va in scena La Sylphide, ultimo spettacolo di danza prima dell’apertura della stagione alle Terme di Caracalla. La Sylphide di Von Lovenskjold è un piccolo gioiello romantico, il balletto romantico (e nel senso più ampio del termine) per eccellenza che segna la storia del balletto, dalla caratteristica danza sulle punte che slancia il corpo della ballerina ricreando la leggerezza inafferrabile della silfide, fino agli inconfondibili e vaporosi tutù bianchi (ideati nel 1832 da Eugenio Lami per le silfidi del bosco). Ma c’è anche la svolta intimista dei sentimenti, la consuetudine di inserire nel balletto l’atto bianco, il gusto tutto romantico dell’amore impossibile e dello streben, l’interesse verso le tradizioni e il mondo popolari e la magia.
All’Opera di Roma va in scena la famosa, famosissima versione di Erik Bruhn (del 1985) da August Bournonville (del 1836) ripresa da Maina Gielgud, già direttrice dell’Australian Ballet e del Balletto Reale Danese. “Ho cercato di mettere in evidenza l’essenza della visione di Bruhn – spiega la Giegud – Una visione in cui la sfida per i ballerini è anche quella di mostrare la differenza tra il mondo reale e quello immaginario”.
Tratto dal romanzo di Charles Nodier, Trilby ou Le Lutin d’Argail e tradotto in musica dal norvegese Von Lovenskjold (legato soprattutto a questo titolo), tutta la storia della Sylphide in effetti gioca proprio tenendosi in bilico fra realtà e fantasia.
La famosa versione di Bournenville (che aveva rielaborato la prima versione, meno fortunata, di Filippo Taglioni creato per la figlia Maria) offre anche maggiore ampio spazio al personaggio maschile di James in perfetta simbiosi con la sua Sylphide che appare fin dall’inizio a turbare i sogni del promesso sposo di Effie pronto a inseguire l’incertezza e il miraggio di un sogno che si sostituisce alla realtà.
Sfida riuscita da parte del cast che è riuscito a mettere in evidenza tutta la verità della storia mantenendo la freschezza e lo stile rivoluzionario di Bournonville facendo percepire l’apparizione delle silfidi come un momento puramente onirico. Il pubblico poi viene subito catapultato nella Scozia dell’Ottocento con le accuratissime scene di Michele della Cioppa, dal confortevole interno di una dimora scozzese alle atmosfere fiabesche e misteriose del recondito bosco, vive il sogno con i costumi di Shikuko Omachi, romantici ed eterei, ma non vezzosi delle silfidi e con i tartan scozzesi tradizionali degli uomini. Oltre a un sontuoso contesto, a far rivivere le emozioni della storia, un ottimo cast. L’inafferrabile, gelosa, capricciosa, volubile Sylphide, alata, incantevole e sfuggente è Anaïs Chalendard, solista dell’English National Ballet, vezzosa e leggerissima (che si è alternata con Gaia Straccamore, Alessia Gay). L’insoddisfatto e visionario James ha il volto e la tecnica del cubano Rolando Sarabia (alternato al giovane Alessio Rezza e a Friedemann Vogel, principal dancer allo Stuttgart Ballet). Villain di turno la strega Madge, in una pantomima in stile Carabosse della Bella addormentata, interpretata da una malefica Alessia Barberini (un ruolo en traversti che la vede alterarsi con Alessandro Tiburzi e Manuel Parruccini).
Sul podio, tutta la maestria dell’esperto David Garforth, specialista del balletto, contribuisce al grande successo di uno dei balletti più amati dal pubblico, ripreso anche a Roma con consuetudine nel corso degli anni. Un successo assicurato. Ultime due repliche martedì 4 (ore 20 fuori abb.), mercoledì 5 giugno (ore 20 fuori abb.).