(10 agosto 2013 – Prima)
Apertura del Festival all’insegna del puro divertimento con un’Italiana d’avanspettacolo: scintillio, libertà e abbuffate d’ogni genere nell’era del petrolio e del potere dei soldi.
Mancava solo la Carrà ma il tuca tuca c’era: stupiamoci e stupriamoci.
L’Ouverture è disturbata da vivaci proiezioni che definiscono la location e l’antefatto della vicenda: Algeri anni ’60 con vetrine coi saldi, trivelle (sulle prime note del clarino), getto del petrolio (all’esplosione dell’orchestra), barili dell’oro nero, pioggia di dollari, uomini col paracadute e filo spinato, petrolieri con belle donne, Lindoro in veste di agente segreto, pistola in mano alla 007 e occhio di bue che lo focalizza come nei film di James Bond, sbuca da una nave la cui sommità esce sul lato sinistro del palcoscenico. Molti personaggi entrano ed escono da lì, è proprio una bella idea, ma non è l’unica. Si comunica col telefono e ci si sposta in aereo, il viaggio di Isabella da Roma ad Algeri è illustrato sullo schermo e i pezzi dell’aereo che si schianta arrivano fragorosamente in scena (vero colpo di scena, ma quanto rumore!); ne esce Isabella in tailleur pantalone rosa e cappello in tinta e Taddeo cogli abiti bruciacchiati. Alcune scene sono illustrate con fumetti animati, come se non bastasse l’affollamento del palcoscenico con inutili individui ridicolizzati (eunuchi, gay caricati, cameriere, strane donne con parrucche esagerate) che fanno colore e distraggono, altre scene si materializzano all’istante dietro i cantanti (Lindoro canta “Languir per una bella” semi immerso nella proiezione di una piscina con squalo, che c’entra?). Trovate registiche di grande effetto, tantissime esilaranti gags, come Mustafà che si mangia l’Italia (e non so come faccia a mangiarne davvero tanta), il regista dà rilievo sarcastico a troppi particolari per cui non emerge la vera comicità della scena del Pappataci. Gestualità ridicola per tutti, agitata e confusa nel quartetto finale.
In quanto a idee il regista Davide Livermore ne sa una più del diavolo, del diavolo appunto e quindi senza freni né inibizioni, fino al punto di distorcere la natura dei personaggi e di lasciare in penombra la magnificenza della musica rossiniana o di usarla per movimentare la scena (errore gravissimo). Infatti se è magnifica l’idea di presentare una bellissima e stimolante Isabella come femme fatale che mostra le gambe in modo provocatorio, con lustrini, piume, pennacchi e costumi succinti stile “Follies bergères”, mi sembra eccessivo esaltare la stupidità del Bey Mustafà (che è pur sempre un re) facendolo circolare in tenuta da mare stile hawayano e occhiali da sole e farlo ballare come un rocchettaro, o in attillati completi fantasia da Arlecchino, farlo saltare e rotolare in continuazione anche addosso a Isabella, preso com’è da un’incontenibile smania di sesso tenuta viva col Viagra. Inoltre sono presenti in scena tutti i sessi in tutte le versioni, perfino Haly ancheggia e Isabella fa qualche esplorazione “oltre la siepe”, il palcoscenico è una passerella per una sfilata sarcastica di tante prime donne, maschi e figuranti compresi, se ne discostano Lindoro per la sua semplicità e Mustafà per la sua sfrenata dinamicità. Veramente troppo, mancava solo Raffaella Carrà col suo tuca tuca. Visto l’ambiente, io l’avrei chiamata, così lo scoop avrebbe completato la trasgressione.
L’irrefrenabile movimento è dunque la cifra stilistica di questa regia, farcita di eccessi e platealità, che divertono, ma stancano e distraggono e poi quanti rumori!!!! Dopo tre ore di gran varietà non vedi l’ora di tornare a casa per ascoltare l’opera in dvd.
La rapidità del cambio degli ambienti tramite l’uso di architetture mobili è in linea con una regia ipercinetica. Lo scenografo e light design Nicolas Bovey disegna scene semplici e funzionali: sulla destra un modulo architettonico bianco, rotondo, girevole, che quando è aperto mostra un interno con salotto bianco e quando si chiude funge da schermo per le proiezioni, sulla sinistra uno spazio vuoto con sabbia e la sommità di una nave per gli esterni, per cui si vede in contemporanea ciò che succede sia dentro che fuori. Quadri cromatici di grande bellezza coi cambi repentini di luce anche con figure statiche investite da un enorme tirassegno alla James Bond, bolle di sapone per tutto il palcoscenico, colori e luci da avanspettacolo, scene luminosissime.Videodesign D-Wok.
I costumi ideati da Gianluca Falaschi sono particolarmente fantasiosi, di varia foggia quelli bellissimi di Isabella che passa da femme fatale a Bond girl a soubrette, inappropriati e ridicoli quelli di Mustafà che del Bey ha solo particolari scarpette d’oro e broccato, da guerre stellari quelli delle due servizievoli cameriere, orientaleggianti quelli degli eunuchi, sfavillanti quelli dell’esilarante chef de salle che si atteggia a prima donna.
Sul piano vocale (è per questo che vai all’opera e invece i registi ti si mettono davanti…uffa…) salta in primo piano la versatilità di Alex Esposito (Mustafà), un basso dalla voce bella e importante, poderosa ed estesa, abilissimo nel canto sbalzato e in quello sillabato e fortemente ritmato, ha una portata di voce che manda dove vuole dai gravi pieni alle puntature acute con buone sonorità in ogni registro e con dizione chiara. Bravissimo attore dal bel fisico e dal piglio deciso e maschio, stupisce la sua resistenza: per tre ore ha cantato, ballato, saltato, corso, bevuto, mangiato e fumato senza fare una piega. Una vera abbuffata in ogni senso.
Anna Goryachova, mezzosoprano acuto d’agilità, è un’Isabella bellissima e con una sensualità venata d’ironia. Sensuale anche la voce che è di bel timbro morbido e vellutato, il suono rotondo e brunito avrebbe bisogno di maggior spessore in “Cruda sorte”, canta bene e correttamente, buona è la proiezione del suono che ha grande espansione in acuto, ma poca densità (“Per lui che adoro”) (“Pensa alla patria”). La cantante ha solo 29 anni e col tempo la voce maturerà.
Yijie Shi (Lindoro), puro virtuoso, agilissimo nel canto sillabato, esibisce voce chiara di tenore contraltino con acuti e sovracuti incisivi, acuti rinforzati, fiati lunghi ben modulati nei pianissimo (“Languir per una bella”), ma è molto leggero nei recitativi.
Il baritono Mario Cassi (Taddeo) è un bravo attore e canta bene, ha un bel getto di voce e un buon peso vocale.
Il basso Davide Luciano esibisce voce corposa e ottime capacità attoriali nel ruolo di Haly.
Il soprano Mariangela Sicilia (Elvira moglie del Bey) ha voce di bel timbro, agile, che emerge negli acuti e nei concertati.
Si muove e canta bene anche Raffaella Lupinacci nelle vesti di Zulma ancella di Elvira.
Il coro maschile del Teatro Comunale di Bologna è bravo nell’articolazione della voce, dei piano e dei pieni, e svolge una buona funzione scenografica. Maestro del Coro è Andrea Faidutti.
Debutta al R.O.F. il direttore spagnolo Josè Ramon Encinar alla guida dell’Orchestra del Teatro Comunale di Bologna, che esibisce un magnifico corno per la presentazione di Lindoro (“Languir per una bella”), un fermento leggero e vibrante, bellissimo, per l’ingresso di Isabella con “Cruda sorte”, favolosi archi nei crescendo, sottolinea con leggerezza il duetto Taddeo Isabella, è brillante nel ritmo dei concertati (“Nella testa ho un campanello”), è complice del canto e della dinamicità dei quintetti, sestetti ecc..