Tutto esaurito per la Tosca di Giacomo Puccini che torna nel suggestivo scenario delle Terme di Caracalla per la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma.
E se è incontrovertibile sostenere che la Tosca abbia sempre intrecciato con Roma un rapporto unico e speciale e non solo perché il debutto dell’opera avvenne proprio il 14 gennaio 1900 al Costanzi, ma anche perché la Tosca è un po’ l’opera romana per eccellenza che si divide fra Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo, pur vero che stavolta il nutrito pubblico si è trovato di fronte a qualcosa di molto diverso rispetto alla tradizione.
Pier Luigi Pizzi (uno dei protagonisti della stagione estiva di Caracalla 2013) regista anche della Cavalleria Rusticana che si alterna con la Tosca in questi ultimi giorni del Festival di Caracalla, ha pensato di creare un progetto unico optando per lo stesso spostamento temporale: non siamo nella Roma papalina dell’Ottocento, ma nella Roma fascista degli Anni Trenta. Dimenticata la Repubblica Romana e Napoleone stavolta l’arroganza del potere viene contraddistinta da Scarpia che da capo della polizia si trasforma in gerarca fascista e dai suoi sgherri di nero vestiti in scena.
Se esteticamente lo spettacolo è molto ricercato e raffinato, è pur vero che tutto a livello iconografico cambia e anche molto: nella maestosità di Caracalla, Pizzi mantiene una purezza nelle scene dando vita a un vero e proprio dramma borghese, quasi del tutto scevro di quanto richieda una Tosca tradizionale. Le scene sono di un bianco abbagliante, quasi a opprimere i personaggi, e poco resta dei luoghi storici romani indicati dal libretto, anche se incombe la Cupola di San Pietro, quasi minacciosa (il potere della Chiesa, la condanna del totalitarismo) con tanto della Pietà di Michelangelo in scena.
In effetti Pizzi ha già spiegato come la Tosca sia soprattutto un’opera di cui vada colta l’intimità se non addirittura esaltato l’aspetto claustrofobico, ragion per cui ha anche ridimensionato il classico Te Deum, che molto spesso viene fin troppo spettacolarizzato o celato il dipinto dell’Attavanti allo sguardo del pubblico.
E anche nei costumi (curati come le scene da Pizzi) siamo di fronte a una Tosca molto inedita: durante il Te Deum sfilano i piccoli balilla, eleganti signore borghesi e un minaccioso Scarpia in divisa da gerarca.
Dimenticate allora gli abiti in chiffon svolazzante in stile impero: Tosca entra in chiesa in camicia bianca e gonna. Dimenticate l’abito stile impero in broccato porpora e oro: Tosca varca la soglia di Palazzo Farnese con un sontuoso, magnifico abito bianco, con un lungo mantello rosa cipria ed elegantissimi guanti bianchi (quasi un Dior Anni Cinquanta) come una vera diva hollywoodiana e giunge a Castel Sant’Angelo in camicia bianca con le ruches.
Insomma resta la sensazione di uno spettacolo purissimo ed esteticamente impeccabile, molto raffinato, un dramma in cui Pizzi riesce ad esaltare ulteriormente l’insita teatralità (anche nella morte di Scarpia che rotola giù dalle scale, senza i riti religiosi di Tosca) che sembra soffrire di qualche forzatura temporale. Una Tosca però tutta da vedere per la ricercatezza dei particolari, la ricchezza dei costumi, la bravura del cast. Martina Serafin, dotata di voce pregevole e morbida, ha già più volte interpretato il ruolo della passionale Floria Tosca, forte e combattiva, bravo il tenore coreano Alfred Kim nel ruolo di Mario Cavaradossi, sicuro, ma non troppo sadico lo Scarpia di Claudio Sgura, equilibrata e molto precisa negli aspetti più lirici o drammatici, la direzione musicale di Renato Palumbo. D’altra parte la Tosca è sempre la Tosca.
Ultima replica domani sera, martedì 6 agosto, alle ore 21.00.