“Astuto, falso, traditore”: si definisce così il Riccardo III di Shakespeare al suo entrare in scena svelando ben presto la sua natura malvagia e sanguinaria che lo rende eroe negativo per eccellenza, pronto a tutto per di conquistare l’agognato Potere assoluto.
Così è per il regista Marco Carniti che mette in scena la più efferata delle tragedie del Bardo al Globe Theatre di Roma (repliche fino all’8 settembre) e che vede proprio nella disumanità del re shakesperiano lo svolgersi concreto della Storia e del Potere attraverso i secoli, al di là di ogni moralità se non del male stesso.
Come spesso accade nel teatro moderno, la vestizione del protagonista si consuma a scena aperta, davanti al pubblico, mentre la costumista sistema gli abiti e i tecnici si occupano degli ultimi ritocchi disponendo lo specchio in scena, ma all’attacco della musica (di David Barittoni, fra musica classica e rock assordante) Maurizio Donadoni si trasforma e diventa Riccardo III, gobbo, claudicante, malvagio, pronto a mostrare fin da subito la sua duplice doppia natura, committente di atroci e reiterati delitti sanguinari che vengono riproposti ciclicamente in scena con una tale metodicità (la rapidità dell’esecuzione, la musica, gli inservienti che puliscono il sangue a ripristinare l’apparente ordine) da risultare quasi l’uno uguale all’altro, quasi senza importanza.
Comprensivo e servizievole dinanzi alla corte, malvagio e disumano in realtà e non senza una spiccata cifra squisitamente sarcastica e ironica che tende a smorzare anche la tensione dell’escalation di violenza, Maurizio Donadoni è un Riccardo III molto convincente e non solo fisicamente, un villain contemporaneo che dà anima e corpo al dramma interiore di un individuo scellerato e cupo, da risultare ammaliante nella sua perfidia.
Intorno al protagonista Maurizio Donadoni che gigioneggia come Riccardo III, è ottimo il resto del cast, anche se una menzione speciale va al Duca di Buckingham (Gianluigi Fogacci) e alle attrici, soprattutto la regale Elisabetta (vedova di Edoardo) di Pia Lanciotti e la Duchessa di York di Paila Pavese.
Il Riccardo III di Carniti, contemporaneo e terribilmente attuale, diventa una tragedia riproposta come incubo psichiatrico sull’ascesa del potere, anche con il visionario incubo finale del Re, assediato dai fantasmi delle sue vittime, e agli spettatori di penetrare quasi nella mente dell’efferato protagonista che si confronta con la sua malvagità e deve fare i conti con le sue fragilità, le deformità fisiche innanzitutto e il confronto con la famiglia.
Ma nulla riesce a fermare Riccardo: il delitto chiama delitto e il mondo (scene di Fabiana Di Marco) si presenta come una lunga passerella-praticabile che si getta nella platea, fra tende rosse e lunghissime corde e catene con una sedia di ferro, ora trono, ora letto, ora prigione, strumento di morte e di tortura.
Abiti moderni, quasi fuori dal tempo, con i cattivi vestiti di nero con dettagli in pelle, gli innocenti in bianco, gli uomini con maschere e costumi da schermidori, le donne in abiti d’epoca rossi (il sangue) o nero (il lutto).
Tre ore avvincenti di spettacolo in cui Carniti serve senza sconti al pubblico l’escalation del potere in tutta la sua violenza in immagini forti e crude, attraverso una rilettura crudele e ironica in perfetta linea con il testo originale della sanguinaria parabola del Duca di Gloucester. In scena fino all’8 settembre.