Prende il via la stagione teatrale della Compagnia Masaniello di Torino che, capeggiata da Alfonso Rinaldi, presenta un calendario di spettacoli ispirati al grande autore partenopeo Eduardo de Filippo, uno dei massimi esponenti della cultura italiana del Novecento, i cui drammi teatrali hanno conquistato l’Italia e il mondo, con traduzioni e rappresentazioni estere numerosissime.
Da venerdì 4 a domenica 6 ottobre (feriali ore 21, festivo ore 16) la compagnia porta sul palco il suo primo spettacolo regionale al Teatro Gioiello di Torino (via Cristoforo Colombo, 31): “UOMO E GALANTUOMO” di Eduardo De Filippo, regia di Alfonso Rinaldi. Con Alfonso Rinaldi, Salvatore Puzo, Cosimo Di Nunno, Angelo Alù, Silvia Ruggiero, Francesco Di Monda, Davide Solenghi, Emanuela Morrone, Giulia Diglio, Teresa Santagata, Cristina Guadagni, Martina Sarcina, Francesca Zago, Aniello Santoro, Marianna Lambiase, Jessica Guastella, Claudio D’Acierno, Piero Sarcina.
TRAMA. Se siete messi alle strette da vostra moglie o da vostro marito, se avete difficoltà con il vostro datore di lavoro, o se i creditori bussano alla porta, non dovete temere perché una soluzione esiste. Dovete assolutamente, al momento buono, fingervi pazzi e avrete risolto così i vostri problemi.
Uomo e Galantuomo, il cui titolo originale è: “Ho fatto il guaio? Riparerò”, venne scritta nel 1922 da un giovane Eduardo ancora attore della compagnia di Scarpetta. La commedia è infatti legata agli schemi del teatro scarpettiano, realistico ma nello stesso tempo farsesco popolare. Il tema della follia – vera o falsa -, già caro a Scarpetta (es: il medico dei pazzi) in Uomo e Galantuomo si carica di significati inconsueti e sorprendenti. La simulata pazzia e il contagio che questa crea a chi rimane coinvolto in faccende ambigue, evidenzia una società preoccupata di tutto fuorché della sostanza. La storia narra di un gruppo di guitti, capeggiati da Gennaro De Sia, ingaggiati per una serie di recite estive. I poveretti si arrabattano nella vita e sul palcoscenico, spernacchiati sin dal debutto da un pubblico di villeggianti disattenti ed esigenti. La loro vita si intreccia con quella di Alberto de Stefano, un giovane benestante a cui non dispiace il legame con Bice una signorina che misteriosamente scompare nel nulla. Scene irresistibili e di una comicità unica mosse da un drappello di personaggi coloriti e balordi, che coinvolgeranno il pubblico per due piacevolissime ore. Travolgente è il momento in cui i teatranti provano nella hall dell’albergo che li ospita una scena dello spettacolo serale, con il tormentone “‘Nzerra chella porta..” (chiudi quella porta) di Attilio nella parte del suggeritore, diventato quasi uno slogan per eduardiani doc.
Info e biglietteria
Ingresso: interi € 13 – ridotti € 9
(ridotti: over 60, under 26 – gruppi – abbonati e convenzionati Torino Spettacoli)
Informazioni, prenotazioni e prevendita al Teatro Gioiello (011/580.57.68)
oppure presso Teatro Erba (tel. 011/661.54.47) e Teatro Alfieri (tel. 011/562.38.00)
Informazioni e accrediti per i giornalisti: Ufficio Stampa MRcomunicazione – mrcomunicazione@gmail.com
tel. 333/430.97.09 – 337/204.218.
Compagnia Teatrale Masaniello
Via Germonio 27 – Torino
tel. 339/793.51.20
NOTE:
“Io scrivo per tutti, ricchi, poveri, operai, professionisti… tutti, tutti! Belli, brutti, cattivi, buoni, egoisti. Quando il sipario si apre sul primo atto d’una mia commedia, ogni spettatore deve potervi trovare una cosa che gli interessa”. Eduardo De Filippo si descriveva così parlando del suo lavoro. La lessi ancora ragazzo e mi rimase impressa nel cuore. Ma l’ho sentita ancor più forte quando è nata l’opportunità di poter allestire Uomo e galantuomo. Tutto è nato durante le pause di lavoro di “Tante belle cose” quando in cerca di uno spazio fumatori mi ritrovavo clandestino assieme a Gianfelice Imparato. L’affetto, la stima, il divertimento che mi procurava la sua “napoletaneità” stavano gettando le basi per farmi abbracciare da vicino Eduardo. Valerio Santoro, giovane e meritevole produttore, intuì e agì. Il mio legame con Eduardo si perde nell’infanzia: ancora bambino, di famiglia umile, ricordo che un giorno alla settimana, quando la televisione italiana era tutta un’altra cosa, veniva programmato il teatro. Tra le mie opere preferite c’erano quelle di Eduardo e per questo avevo il permesso di andare a letto più tardi del solito. Le ricordo in bianco e nero e, a differenza del teatro dal vero, con i primi piani degli attori. Tra tutti, per espressività e capacità interpretativa, mi colpiva l’intensità di Eduardo. Riusciva a divertirmi facendomi credere ai drammi che stava interpretando. Una vera magia. E’ con questo rispetto che mi sono avvicinato alla regia di “Uomo e Galantuomo”. Un testo giovanile (1922) classificato spesso come farsa. Una definizione che ho sempre sentito stretta. Infatti, seppure caratterizzata da una ricca serie di battute ed episodi irresistibilmente comici, nella commedia emergono una gran quantità di contraddizioni tra l’apparire e l’essere della borghesia contro il dramma proletario di chi ogni giorno affronta la sopravvivenza. Falso perbenismo contro tragedia. Onore da salvare contro fame. E in tutto questo dov’è l’uomo e dove il galantuomo? Ecco perché considero “Uomo e Galantuomo” una commedia di altissimo livello, forse la più divertente, ma che sicuramente segnò per Eduardo il passaggio dalla farsa al teatro di prosa. E guarda caso al centro della commedia c’è proprio il teatro: una scalcagnata compagnia, nominatasi “L’eclettica” (proprio perché non pone limiti alle proprie attitudini artistiche), porta in scena in una località turistica balneare “Malanova” di Libero Bovio. Attraverso il classico meccanismo della commedia degli equivoci, si scatena così il teatro nel teatro, la follia tra farsa e dramma evocando sapori pirandelliani. Ma si respirano anche profumi di Goldoni, di Skakespeare, e forse anche un po’ di quel teatro dell’assurdo che va da Osborne a Beckett a Jonesco. L’assenza di talento e l’improvvisazione della compagnia fanno infatti da contrappasso ai drammi borghesi interpretati invece con talento e una vena di follia. Sullo stesso palcoscenico della vita saranno più attori i benestanti, i cui sforzi mirano ad interpretare ruoli d’apparenza che i veri commedianti protesi, senza alcuna esigenza interpretativa, soltanto a sopravvivere al quotidiano.
C’è tutto questo nel mio progetto di regia. C’è il rispetto per l’imponenza di una figura che considero un protagonista del teatro del novecento che invoca di essere affrontato con il giusto rigore che merita. Lo spazio scenico viene riempito dalle anime di quegli esseri umani mentre l’allestimento è cornice che le libera dal realismo per ricondurre la drammaturgia al centro della rappresentazione. E’ ovvio che si ride molto, ma con quel rigore di cui Eduardo si è fatto ambasciatore della sua arte nella storia.
Un’ultima cosa. Napoli e la sua lingua. Non starò qui ad elencare tutte le profonde radici che mi legano a quella città. Ma Napoli è un luogo che o lo contieni o è difficile da raccontare. Aspettavo da tempo questo appuntamento artistico con lei, con la sua lingua, con la sua ironia, a volte apparentemente eccessiva, ma così densa di umanità e poesia da renderla ogni volta “teatro”.