Apre la stagione la messa in scena del romanzo di Sciascia “A ciascuno il suo” nell’adattamento di Gaetano Aronica. La vicenda si sviluppa serrata e incalzante come un giallo, con la musica di Fabio Lombardi che sottolinea i picchi di suspence, in cui affiorano con incisiva pregnanza tutte le tematiche che hanno tessuto la vita intellettuale e politica dello scrittore siciliano. Il farmacista di un piccolo centro dell’entroterra viene ucciso in una battuta di caccia, insieme al suo amico Roscio, dopo aver ricevuto una lettera minatoria. L’opinione generale sostiene il movente passionale, ma un mite professore di Palermo, Paolo Laurana, estraneo alle rassegnate filosofie esistenziali del paese, scrutando la lettera, mette a fuoco un inaspettato metamessaggio: uno dei ritagli di giornale con cui è stata redatta reca sul retro il termine “unicuique” parte del motto latino “unicuique suum” stampato sotto la testata dell’Osservatore Romano. La propria coscienza civica lo spinge a cercare i lettori di tale giornale e, anche grazie alle rivelazioni di un deputato comunista depositario delle confidenze del dottor Roscio in merito alla condotta corrotta di una eminente personalità del posto, a sollevare il pesante drappo che incombe su un ambiente assuefatto ai condizionamenti del potere e all’omertoso silenzio regolato dalle canne del fucile. Le sue capacità deduttive lo guidano a ritenere che non era l’innocuo farmacista la vittima designata, ma il suo amico, in un intreccio di mafia, politica, affari.
La regia di Fabrizio Catalano ricrea l’ambiente catto-borghese in cui matura il delitto: senza cambi di scena, un gioco di luci focalizza gli spazi e le nicchie della scenografia di Antonia Petrocelli in cui si svolgono le differenti azioni. Una ragnatela di ipocrisie, tradimenti, connivenze, equivoche seduzioni, ambiguità, tranelli, complicità, opportunismi avviluppa parenti, amici e concittadini e ostacola il corso della giustizia. Le recondite implicazioni e gli oscuri meandri dell’animo umano, connessi con le ambigue convenienze sociali e politiche e permeati dai miti dell’arcaica sicilianità, quali l’immanenza della morte nelle azioni umane, la difesa della “robba”, il matrimonio come patto d’alleanza tra le famiglie e l’omertà, rendono la Sicilia metafora del Paese.
Lo sprovveduto professore e il padre del dottor Roscio (suocero della carnale vedova Luisa), in una franca conversazione esprimono tutta la loro delusione per l’uso personale della giustizia da parte dei potenti e per l’incapacità della sinistra di affermare i suoi principi ispiratori (parole che testimoniano la lucida lungimiranza di Sciascia!). L’ingenuo sostenitore della verità, sovvertitore delle tacite regole è destinato a soccombere, mentre la cortina di solidarietà col potere corrotto trionfa sull’arma spuntata di un isolato utopista che, volendo rendere giustizia agli assassinati, è un “intruso” che si conquista l’appellativo di “cretino” : “il morto è morto, diamo aiuto al vivo”, scrive Sciascia, è la regola della logica mafiosa.
Il riferimento al contesto politico dell’epoca è di dolorosa attualità a cinquant’anni dalla denuncia sociale dello scrittore. Nihil sub sole novi.
Sebastiano Somma incarna con dolente mestizia, espressa anche attraverso una postura dimessa, l’onestà intellettuale del professor Laurana, accanto a una fulgida Daniela Poggi, la Luisa simbolo della bellezza femminile che travolge i sensi e annebbia la mente.
Gli altri interpreti caratterizzano tutti sapientemente i loro personaggi: Gaetano Aronica (don Pasquale), Maurizio Nicolosi (postino), Alessio Caruso (avv. Rosello), Roberto Negri (on. Abello), Ivan Giambirtone (on. Testaquadra), Vittoria Faro (Lisetta), Fabrizio Catalano (farmacista), Giacinto Faro (suocero Roscio).
Teatro Parioli Peppino De Filippo – fino al 17 novembre 2013
Via Giosuè Borsi, 20- Roma
tel.: 06.8073040