Moni Ovadia raccoglie il testimone di Lucio Dalla e porta in scena il repertorio di uno dei padri della musica popolare del Sud: “Pratapapumpa”, dal 3 al 15 dicembre al teatro Vittoria
È un gradito ritorno quello di Moni Ovadia al Teatro Vittoria. Dopo il successo dello scorso anno, l’artista bulgaro (ma milanese d’adozione) propone un nuovo spettacolo dedicato a Matteo Salvatore, compositore e cantante pugliese riscoperto negli ultimi tempi dai big della musica italiana, da Lucio Dalla a Renzo Arbore fino a Vinicio Capossela che spesso inserisce brani di Salvarore nella scaletta dei suoi concerti.
“Prapatapumpa, padrone mio ti voglio arricchire” è quindi un autentico omaggio e un atto d’amore verso la straordinaria avventura poetica e musicale di Matteo Salvatore, uno dei padri della musica popolare del Sud. Lo spettacolo nasce su ispirazione delle rappresentazione teatrale “Il Bene mio. La vita e le canzoni di Matteo Salvatore”, andato in scena il 10 febbraio 2012 al Teatro Petruzzelli di Bari, che vedeva sul palco oltre allo stesso Ovadia, anche uno struggente Lucio Dalla in una delle sue ultime apparizioni live in Italia. Il cantautore bolognese, ma manfredoniano d’adozione, si innamorò del progetto: “L’anima del Sud impregna le canzoni di Matteo Salvatore – diceva il compianto Lucio – è una bandiera sociale, per il modo in cui ha condotto la propria esistenza. Un’artista che ha conferito alla sua musica una forte funzione provocatoria di denuncia”. Questa avventura teatrale dedicata a Salvatore continua il suo viaggio grazie a Moni Ovadia, artista versatile e aperto a molteplici orizzonti culturali. Prapatapumpa racconta non solo la musica popolare e folk del cantore di Apricena ma anche la straordinaria vita da artista sregolato e naif. Il monologo scritto dal registra Cosimo Damiano Damato, Raffaele Nigro e dallo stesso Moni Ovadia ripercorre l’infanzia di Matteo, la povertà, i soprusi dei “padroni” e la vita di strada: tutte esperienze che hanno poi segnato la sua poetica e le sue canzoni. Pagine intense, che narrano di un Sud magico e maledetto, ma anche straordinariamente puro nella sua bellezza. Mentore per il canovaccio è stato un altro artista pugliese, Renzo Arbore, che di Salvatore fu grande amico. Moni Ovadia, nelle vesti di narratore e cantante, rievoca una favola che affonda nel nostro neorealismo e riscopre alcuni capolavori della musica tradizionale grazie alla rilettura originalissima della violinista e cantante H.E.R. e dalla sua band Famenera.
Fil rouge dello spettacolo sono proprio le canzoni di Salvatore. Da “Le chiacchiere de lu paese”, simbolo di quella saggezza popolare in cui l’artista è cresciuto, si passa al tema dalla miseria, che Matteo conosce sin da bambino, cantata in “Pasta nera”, “Il Lamento dei mendicanti” e “Maccheroni”. Ma Salvatore non racconta solo la fame e la povertà: con un lirismo unico compone melodie dolcissime come “La notte è bella” e “La cometa”, cantate con voce orientata ad un registro alto, ma mai sguaiata, anzi velata da una grazia di disperazione, una sfumatura dolce e dolente. Non manca, nello spettacolo, anche l’altra anima, quella ironica di canzoni come “È proibito”, capace di darci un affresco autentico e vivo della cultura orale del dopoguerra. Perfino Italo Calvino era un suo fervido ammiratore: “Le parole di Matteo Salvatore – affermò lo scrittore – noi le dobbiamo ancora inventare”.