L’orchidea è il fiore della perfezione, dell’armonia, ma anche dell’ambiguità, così come vuole la leggenda che narra di Orchide, un bellissimo fanciullo cui erano spuntati dei seni femminili e che aveva in sé la delicatezza e la sinuosità tipiche del gentil sesso e l’aggressività, l’irruenza peculiari del suo essere maschio. Pippo Delbono nel suo ultimo spettacolo, Orchidee appunto, in scena all’Arena del Sole di Bologna fino al 23 novembre, ha scelto questi fiori come suggello del suo manifesto poetico proprio per eleganti, sensuali, carnosi. E così questi fiori diventano il filo per tessere la trama di questo spettacolo, simbolo della bellezza, della pace, ma anche della caducità della vita – effimera e sfuggente – che appassisce davanti ai nostri occhi, ma che può essere fermata, sublimata, attraverso l’arte. E non è un caso se orchidea in francese significa anche eternità.
Delbono, come spesso accade nei suoi spettacoli, mette in scena la vita, quella vera, quella sofferta, quella filmata con bramosia per non perderne nemmeno un istante. Eppure essa da sola non è sufficiente. Così come un solo testo teatrale non può essere, per quanto eccelso, la sintesi perfetta dell’esistenza. Allora, la soluzione cercata e trovata dal regista è stata quella di unire la sua vita alle parole di grandi autori, per mettere in scena non una menzogna, ma qualcosa che si avvicini più possibile alla Verità, che ci induca a scoprire il mondo dell’artista e il motivo della sua arte. Le riflessioni diventano autentiche, i racconti assumono vitalità e le parole dei grandi autori citati (Shakespeare, Büchner, Weiss, Pasolini, Keruac, Checov) mischiate alla vita reale acquisiscono più forza, la loro potenza solca i secoli per ritornare a vibrare nella storia di oggi, nel nostro presente.
E così Pippo Delbono apre il suo cuore agli spettatori raccontando della morte di sua madre, accompagnandoli dentro i dettagli più intimi sia attraverso le parole sia attraverso le immagini. Infatti, nello schermo posto in fondo al palcoscenico – unico elemento scenografico dove si proiettano immagini – la ripresa che colpisce di più è proprio quella in cui si vedono le mani dell’attore che accarezzano in modo dolce e spasmodico quelle inermi della madre.
Dentro questo spettacolo però, non c’è solo il racconto dell’evoluzione di Delbono “figlio” e dell’amore che ha imparato a nutrire per la madre, un seme che è diventato un bellissimo fiore ma colto sull’orlo del precipizio, proprio come diceva Stendhal. Ci sono anche le altre persone-personaggi, come Bobò che all’età di 77 anni, annuncia, attraverso la voce del regista, che dopo quarant’anni in un manicomio non ha nessuna intenzione di finire in una casa di cura.
E, siccome la vita molte volte somiglia al vibrare delle note e l’individuo diventa lo strumento che fa risuonare ciò che lo circonda, Pippo Delbono ha costellato il suo racconto non solo di parole, ma anche di musica, attraverso grandi autori come Miles Davis, Philip Glass, Deep Purple, Pietro Mascagni e altri.
Orchidee è uno spettacolo carnale e spirituale, ciclico nel suo desiderio di non trovare una soluzione finale, così, proprio quando sembra che sia finito, ricomincia nuovamente e ci regala altre storie, altre verità, altri innesti stupefacenti.