“Le signorine” Rosaria e Addolorata conducono un’esistenza grama e solitaria occupandosi della loro merceria e della casa. La maggiore è oculata, persino tirchia (“pricchia” come l’accusa sempre la sorella nel loro dialetto siciliano) e dispotica, l’altra ingenua e dipendente dall’oroscopo quotidiano di Paolo Fox a cui affida i suoi sogni e i desideri più reconditi.
Lo scontro fra le due personalità provoca quotidiane discussioni soprattutto col sopraggiungere della crisi economica che attanaglia tutti e assesta un duro colpo ai proventi dell’attività, minacciata dalla concorrenza dei “cinesi”, autentico pericolo per i piccoli commercianti. La “formica” Rosaria stringe ancor più i cordoni della borsa, la “cicala” Addolorata vuole vivere il momento e compie azzardati voli pindarici con la fantasia.
La notizia del prossimo matrimonio di un cugino scatena il conflitto più aspro che assume connotazioni caratteriali, familiari, sociali e sociologici. L’una vuole sottrarsi all’invito per non affrontare una spesa troppo gravosa, l’altra intravede, invece, un’occasione di riscatto per apparire, divertirsi, sperare in un incontro.
Implacabilmente si abbatte la nemesi. A Rosaria l’ingordigia riserverà un drammatico destino, mentre Addolorata, priva di inibizioni, potrà scialacquare.
Ma davvero trionferà l’egoismo? Il finale è aperto alla solidarietà.
Interpretate da Sergio Friscia (Addolorata) e Antonio Alveario (Rosaria), le due attempate “signorine” non risultano personaggi “en travesti” ma assumono un carattere grottesco e tragicamente comico, non caricaturale, ma con elementi caratteriali accentuati nel conformarsi supinamente alle opinioni veicolate dalla televisione o nel difendere strenuamente le inveterate convenzioni sociali. La patina di ridicolo conferita dagli interpreti maschili, facendo superare l’identificazione di genere, propone prototipi di una sicilianità che pervade tutti, uomini e donne, arresi al loro avverso destino, rassegnati all’accettazione del fato.
Il testo originario, scritto da Gianni Clementi in dialetto romano, nella nota introduttiva concede al regista o alla compagnia che lo mette in scena la facoltà di tradurlo in qualunque altro dialetto. Così il regista Ninni Bruschetta insieme a Laura Giacobbe, ha trasformato il “Sugo finto” in “Piscistoccu a ghiotta” tipico piatto siciliano metafora di una realtà regionale, ma contemporaneamente universale, di umana fragilità.
Ilarità e riflessione, ironia e saggezza vengono dispensate attraverso dialoghi che enucleano il timore di affrontare il mondo con le sue pericolose novità.
Le espressioni gergali, i modi di dire del testo, la mimica, la gestualità, la postura degli attori sono in perfetta sintonia con la tradizione popolare sicula e con i personaggi tragicomici del teatro dell’isola.
Lo spettacolo è la prima produzione della Fondazione “Il Teatro del Mela” che intende realizzare un percorso di formazione e sperimentazione e sviluppare laboratori didattici per le scuole. Il regista, per rendere omaggio alla città che ospita l’iniziativa, ambienta la vicenda nel messinese, proprio a Pace del Mela.
Teatro della Cometa
Via del Teatro Marcello,4 – Roma
tel.: 066784380
fino all’8 gennaio 2014