Con questo recital Moni Ovadia rende omaggio alla vicenda umana e artistica di Matteo Salvatore, uno dei padri della musica popolare del meridione d’Italia, e lo dedica a Lucio Dalla con il quale aveva partecipato allo spettacolo “Il Bene mio. La vita e le canzoni di Matteo Salvatore” andato in scena il 10 febbraio 2012 al Teatro Petruzzelli di Bari.
La riscoperta del repertorio del compositore e cantante pugliese è in atto da tempo, per merito, oltre che di Dalla, del conterraneo Renzo Arbore e di Vinicio Capossela che spesso inserisce brani di Salvatore nei suoi concerti. Il cantante bolognese apprezzava la forte connotazione popolare delle ballate, da cui trasudava l’anima tragica della gente del Sud, che per Salvatore costituiva elemento di identificazione sociale, causa le tristi condizioni in cui si era svolta buona parte della sua vita. Il versatile Ovadia raccoglie il testimone e prosegue con la riproposizione della musica popolare e folk dell’artista di Apricena, inframmezzata dal racconto della sua vita, sregolata e stentata. Il testo, scritto dal regista Cosimo Damiano Damato, Raffaele Nigro e dallo stesso Ovadia, descrive la miseria, i soprusi, la violenza, le vessazioni, l’oppressione che il ragazzo Matteo sperimentava ogni giorno, assuefatto alla fame e alla marginalità della vita di strada. Non si libererà mai di questa matrice incisa nella sua anima, che riverserà nella musica e nei versi delle sue canzoni.
Il tono grave e l’accento pugliese del narratore Ovadia, ci conducono a percepire in maniera quasi tattile il dolore, le privazioni e la voglia di riscatto ma anche il lirismo, la dolente malinconia e l’ironia di questo cantastorie, grazie anche alla presenza della violinista e cantante H.E.R. accompagnata dalla band Famenera, con le sue personalissime rivisitazioni.
Lo struggimento degli idilli di vita contadina, testimoni delle profonde radici popolari e culturali del suo messaggio poetico, lo hanno fatto apprezzare dagli intellettuali, tanto da essere definito da Italo Calvino “l’unica fonte di cultura popolare in Italia”.
Si dipanano così i diversi temi: la miseria cantata in “Pasta nera”, “Il lamento dei mendicanti”, “Maccheroni”, il lirismo de “La notte è bella”, “La cometa” e poi la saggezza popolare di “È proibito”, “Le chiacchere de lu paese”, l’impegno civile condensato nel testo “Padrone mio” da cui prende il titolo lo spettacolo.
La gente del sud, la vita di strada, la cultura contadina Matteo Salvatore le conosceva bene ed è vita vissuta quella che trasuda dai testi che cantava, in cui la giornata non era scandita dai pasti perché non c’era nulla da mangiare e si viveva giocando scalzi nelle strade. Venuto a Roma, raggranella qualcosa cantando canzoni napoletane nelle trattorie dove viene notato da Claudio Villa che lo incita a cantare in pugliese. Tornato al paese per cercare le melodie della sua terra, non riuscendo a reperirle, decide di comporre le ballate dei suoi ricordi facendole ritenere di autore anonimo. Conclude il suo primo contratto con l’etichetta Vis Radio nel 1955 debuttando con tre 78 giri. Inizia così una produzione di musica popolare che attinge dalla cultura orale le parole della quotidianità espresse con una vocalità personalissima.
Poeta, cantante, chitarrista autodidatta e raffinato. “Le parole di Matteo Salvatore noi le dobbiamo ancora inventare” parola di Italo Calvino.
Teatro Vittoria
Piazza S. Maria Liberatrice, 10 – Roma
fino al 15 dicembre 2013