Libero adattamento di Masolino D’Amico
Si sente troppo spesso dire che Pirandello è un drammaturgo superato, che i suoi testi sono datati. La verità è che il gioco che corre sul filo della finzione, dell’inganno e della doppia identità è una costante del comportamento umano. Fermiamoci un istante ad indagare il fenomeno. In ogni momento della giornata tutti noi indossiamo una maschera, quella che più si adatta in quel momento. Ed è così frequente l’esercizio del mettere e togliere che alla fine non sappiamo più qual é la maschera e quale il volto.
Qual è dunque la verità? La Verità non esiste. Per Pirandello l’uomo diventa una persona solo sotto lo sguardo degli altri, assumendo tanti ruoli e tante maschere, quante sono le persone che lo vedono. Nel nostro caso raccontando la storia della figura centrale della commedia potremmo dire: ”Una nessuna, centomila”. E sempre a proposito della figura centrale mi sento in obbligo di dire quel che penso dell’attrice che la interpreta. Difficile trovare un aggettivo che esprima l’ammirazione nei confronti di Lucrezia Lante della Rovere. Nell’interpretare un personaggio difficile complesso, variegato, l’attrice ha mostrato una personalità poliedrica (come richiedeva la parte) assoluta padronanza della scena, gestualità misurata, intensa partecipazione emotiva. Il fatto poi che Lucrezia sia bella, elegante e affascinante, in quel contesto, certamente aiuta.
“Come tu mi vuoi”, oltre alle tematiche care all’autore, è significativa perché richiama la forma artistica dell’espressionismo teatrale tedesco.
La storia in breve.
In un sordido tabarin nella Berlino del dopoguerra si esibisce una misteriosa ballerina italiana: l’Ignota (Lucrezia Lante della Rovere) che convive con uno scrittore tedesco (Salter) e con sua figlia ragazza morbosa e ambigua. Un giorno un personaggio italiano ( Boffi) ritiene di riconoscere nella donna la moglie di un suo amico (Bruno) scomparsa durante la guerra e trascinata via dall’esercito asburgico subendo ogni genere di oltraggi.
Il comportamento dell’Ignota è fin dall’inizio ambiguo. Abbandona Berlino, lascia l’amante e ritorna (?) dal presunto marito in quella casa del Friuli dove probabilmente non era mai stata prima. Ma dopo un breve periodo di “studio” da parte di tutti i componenti la famiglia, di fronte a certe prove incontestabili, i dubbi aumentano. C’è poi legata alla sua identificazione una torbida questione di interessi che acuisce i sospetti del presunto marito. Alla fine quando lo scrittore tedesco (l’ex amante che non demorde) arriva alla villa con una poveretta semiparalizzata e demente da lui trovata in un ospedale di Vienna e sostiene che quella è la vera moglie, riprende a rovescio il gioco dell’identità. A questo punto l’Ignota contesa si rende conto che la vita non consiste nell’essere, ma nell’apparire, credere cioè nella realtà non come ci appare, ma come vogliamo che sia dentro di noi. Lascia dunque a quella povera gente una triste demente nella quale sicuramente ne proveranno l’identità. Se il meccanismo drammaturgico funziona bene lo dobbiamo al regista Francesco Zecca che ha dato alla pièce unità di tono e di stile. Di grande impatto il grande “quadro vivente” che ritrae nella loro fissità tutti gli attori che in quel momento non partecipano all’azione scenica.
Ottimo il cast di attori composto oltre a Lucrezia Lante della Rovere nella parte dell’Ignota, da Simone Colombari (Salter), Francesco Zecca (Bruno), Raffaello Lombardi (Boffi), Francesca Farcomeni (in un doppio ruolo), Arcangelo Iannace, Crescenza Guarnieri.