Regia di Valeria Cavalli e Claudio Intropido
Si può parlare di sociologia, psicologia e letteratura senza essere pedanti?
È possibile entrare in un’aula scolastica senza che un brivido corra lungo la schiena pensando alla noia, alle interrogazioni, alla distanza abissale tra i libri e la vita?
Il teatro talvolta ce la fa e la sfida è ancora più ambiziosa quando gli interlocutori prescelti sono i ragazzi “nativi digitali” che vivono con ritmi, linguaggi, miti radicalmente altri rispetto al passato.
Se poi il passato è l’Ottocento e il personaggio è Giacomo Leopardi, è il caso di soffermarsi un po’ per capire cosa succede in questi giorni al teatro Leonardo.
Prendete uno dei tanti nostri giovani che, dopo un brillante percorso scolastico, languiscono in qualche call center nella speranza che sia solo un guado da attraversare e non un limbo in cui intristirsi. Immaginatelo catapultato come supplente in una scuola media con un compito ben preciso: spiegare ad una classe di preadolescenti la poesia leopardiana.
Il prof. neofita oscilla tra esaltazione e disperazione, si consulta col suo alter ego, un saggio portinaio algerino, si vede finalmente proiettato nella vita che ha sempre voluto ma annaspa nella sensazione di inadeguatezza che un tale mandato comporta. Ce la farà? Andrea Robbiano rende credibile il giovane professor Roversi, conferendogli uno spessore umano e allo stesso tempo facendone un simbolo: dell’entusiasmo, dell’impegno, dell’autoironia, della paura di non farcela. Dell’essere (talvolta o sempre) fuori misura. Come lo era Leopardi.
E la lezione a noi spettatori, diventati senza che ce ne accorgessimo in tempo la sua classe, intreccia biografia, autobiografia e poesia. Le parole escono così dalla pagina per portarci nei vicoli di Recanati, nella casa austera col severo padre Monaldo e l’anaffettiva madre Adelaide, con i fratelli, i libri e poi la malattia. E le righe dello Zibaldone sono improvvisamente quelle del diario di un ragazzo qualsiasi che vuole quello che tutti i ragazzi vogliono: amare ed essere amato, andarsene dalla casa paterna, vedere il mondo, farsi degli amici. Però questo ragazzo è riuscito a dirlo con parole che dopo due secoli ancora ci muovono qualcosa dentro. Basta guardare i ragazzi in sala (e sono tanti). Hanno riso all’esilarante e scatenata top-five dei nostri maggiori poeti, hanno sorriso dell’imbranataggine del giovane supplente, hanno temuto di essere interrogati quando è sceso tra il pubblico a far domande, ma sono rimasti sospesi, in un silenzio carico di significati, quando a parlare erano i versi di Leopardi. Perché tutti i giovani si sentono un po’ fuori misura. Improvvisamente il poeta più “parafrasizzato” d’Italia diventa uno di loro che “pensoso, in disparte il tutto mira”, che si sente “strano al suo loco natio”. Superato l’ostacolo di una lingua diversa da quella degli sms, eccolo lì, l’autoritratto psicologico della giovinezza, tra speranze e delusioni, “diletti, amor, opre ed eventi”. La scrittura di Valeria Cavalli trova un equilibrio tra rigore filologico e intrattenimento, riesce a virare sempre in tempo tra i vari registri, così da evitare sia l’eccesso emotivo che la banalizzazione. E Andrea Robbiano, a sentire il plebiscito in sala, è il prof. che ogni classe vorrebbe avere.