Non c’è da stupirsi se “Una pura formalità” ha trovato posto sulle scene, ché già il capolavoro di Tornatore aveva mostrato un carattere prettamente teatrale, con quella scenografia povera e mutila di qualsiasi vezzo: soltanto una stazione di polizia, oppressa da una tormenta che la isola dal mondo. È in questo limbo che vivono e si muovono i personaggi, come non coinvolti dalle vicende terrene, ma preda dei loro silenzi, delle accuse che si scambiano l’uno con l’altro, della claustrofobica violenza che aleggia su tutta la vicenda. Già, la vicenda: un delitto è stato commesso, e Onoff, celebre scrittore, ne viene accusato. Eppure, riconosciuto dal commissario, ad Onoff l’interrogatorio viene presentato come una pura formalità. Così non sarà, ché il povero scrittore ne avrà da raccontare, sciogliendo i garbugli della sua mente da insonne e, forse, da omicida. Il commissario mette alle strette il protagonista: qui la voce di Glauco Mauri arranca, si cerca, si ritrova e si perde, in una bassezza profonda che non inquina la sua performance, ma la rende più antica, quasi storica. Dal canto suo, il bravissimo Roberto Sturno bene rappresenta la disperazione di Onoff, quella corsa vana verso una memoria che rischia di tradirlo e comprometterlo, i disperati tentativi di fuga, i silenzi e i rari momenti di sarcasmo. La pioggia che sorprende Onoff nel bosco non cessa per tutta la durata dello spettacolo: l’acqua che cade è allora quell’eterno ritorno dell’uguale, il costante perdurare di una memoria che, nella sua assenza, logora la mente di Onoff. Perché lo scrittore ha i panni sporchi di sangue? E da cosa stava fuggendo, come impazzito sotto una pioggia battente? Lo squarcio che queste domande aprono è destinato a restare tale, ché la vita, insegna lo spettacolo, è fatta non soltanto di risposte, ma di una sottile linea che separa la follia dalla realtà, il coraggio estremo dalla viltà. Dopo un’estenuante interrogatorio, Onoff sarà rilasciato: arriverà al suo posto un altro giovane, accolto alla stessa maniera dell’autore, in un meccanismo circolare che inquieta ancora di più quando tutti gli attori in scena si girano verso il pubblico, in un tentativo – originale e riuscito – di coinvolgerlo all’interno di quell’angoscia traumatica che aveva atterrito Onoff. Quali siano le colpe di Onoff, è impossibile saperlo, tant’è che la versione cinematografica aveva lasciato intendere che quello del protagonista fosse in realtà un suicidio, e che i poliziotti ed il commissario altro non fossero che traghettatori verso la morte. Quel che è certo, però, è che Onoff deve un’ultima testimonianza di fronte ad un tribunale assai particolare, quello della sua memoria.