Organizzato da “Ancona Jazz” in collaborazione con il Comune di Ancona e il Teatro delle Muse per la tradizionale gospel night alle Muse
Pensavo di ascoltare un coro gospel e di ritrovarmi immersa nelle esotiche sonorità delle voci afro-americane, mi son trovata invece di fronte ad un esiguo quartetto femminile (senza il tenore annunciato), accompagnato da un pianista e guidato da un direttore/presentatore che cantava ogni tanto ed incitava il pubblico a cantare, a muoversi e a battere le mani.
Erano gli Washington Gospel Singers, con i soprani Rachel Nicole Massay e Rebekah LynnBrown e gli alti Margaret Carol Jackson e Salimu Amini Terrell, dirette da Nate Brown e accompagnate da ChristopherLeach al piano.
Bello l’impasto timbrico di queste voci femminili, corpose, estese, solide, ben impostate e timbrate, interessante il colore di ognuna di loro negli assolo, intensa l’interpretazione, scarso lo spessore vocale di Nate Brown, che si è comunque distinto come musicista suonando il sassofono e come intrattenitore per la padronanza assoluta del palcoscenico e la versatilità nella gestione del pubblico. Tutto era amplificato.
Il repertorio eseguito non mi era molto familiare, tranne “I will follow him” da Sister Act, attaccato con morbidezza e poi velocizzato e ritmato,“What a wonderfull world”, cavallo di battaglia di Louis Armstrong, eseguito al sax alto da Nate Brown e “When the Saints go marching in“, un inno gospel americano, di cui hanno ripetuto più volte solo la prima strofa.
Era comunque un programma variegato: brani dal sound brillante, altri con notevole senso del ritmo, con ripetitività incalzante, molto partecipati dagli artisti, ma anche dal pubblico esaltato dagli incitamenti del presentatore che interloquiva in inglese con la gente incitandola a sottolineare il ritmo col battito delle mani. Non è che il risultato sia stato esteticamente piacevole, a causa di un battito a volte scomposto e fuori tempo, che oltre tutto copriva le voci (la frenesia di oltre mille persone, a volte anche in piedi, contro la voce di quattro cantanti) e costringeva spettatori come me, naturalmente ferma e seduta, a perdere la malia del canto e a subire la visione di fondi schiena di ogni misura nell’atto di dimenarsi con ritmo personalizzato.
I concerti del Washington Choir sono infatti un prodotto di intrattenimento e rappresentano una festa in cui il pubblico viene coinvolto fin dalle prime note, quindi io, che vado ai concerti per ascoltare voci e musica, sono capitata nell’ambiente sbagliato.