Una nuova grande prova d’attore per Franco Branciaroli che prosegue la sua riflessione sul teatro e approda alla drammaturgia del Thomas Bernhard e mette in scena Il teatrante (1984), grottesco e disperato affresco sull’arte e sul mestiere dell’attore, ricollegandosi idealmente al Servo di scena di Ronald Harwood. Le scene e i costumi di Margherita Palli ricreano l’atmosfera squallida e decadente della misera locanda di provincia austriaca dove l’attore di origini italiane Cescon, megalomane e frustrato, vorrebbe mettere in scena la sua commedia La ruota della storia, un improbabile testo di cui è autore, popolato da Metternich e Napoleone, Hitler e Kirkegaard, Churchill e Madame Curie…
La megalomania dell’attore e le sue velleità artistiche devono però fare i conti con un semimuto oste e la sua sgangherata compagnia artistica, che altri non è che la sua famiglia, più attenta a sbarcare il lunario che a votarsi all’arte, una moglie in preda alla tosse (Melania Giglio) e due figli dallo sguardo ottuso e ben poco avvezzi alle recitazione.
Alla fine Cescon si vedrà negata la possibilità di andare in scena anche davanti a un pubblico di bifolchi (a causa del rovinoso incendio che distrugge la canonica), l’aspirata e remota catarsi artistica come ogni altro tipo di riscatto.
Grande prova d’attore per Franco Branciaroli (il primo atto è praticamente un lungo, inintterrotto monologo), protagonista assoluto in scena che interpreta con gigioneria, maestosità e ironia l’attore Cescon, riproponendo i modi e i tempi aulici dell’attore accademico, maniacale e fuori dalla realtà, costretto a fare i conti con il suo totale individualismo e che sproloquia fuori luogo con le sue citazioni filosofiche e letterarie che alternano Spinoza a Schopenhauer a Voltaire.
Diretto con voluta staticità da Branciaroli, Il teatrante resta un’analisi spietata sul mestiere dell’attore (che si ricollega idealmente a Servo di scena) nel raccontare lo stridente e doloroso contrasto fra la megalomania di un attore e lo squallore della realtà, ma anche una critica spietata contro l’intellettualismo inutile fino ad arrivare forse alla consapevolezza della distruzione dell’arte, precocemente morta e seppellita dall’ignoranza. In scena al Teatro Quirino di Roma fino al 23 febbraio.