Roma, quartiere di San Lorenzo, 19 luglio 1943. Il tempo delle mele cotte mette in scena con un registro particolare quella tragica giornata della seconda guerra mondiale in cui il nodo nevralgico dei trasporti della capitale d’Italia fu bombardato dagli Americani. La storia si integra con la finzione teatrale in testo ben scritto da Gianni Clementi su soggetto di Vanessa Gasbarri, che cura anche la regia e che sa mescolare momenti drammatici con altri decisamente leggeri e maliziosi. L’antefatto motore della storia avviene a sipario ancora chiuso. Si sente ansimare, poi rombi di aerei e deflagrazione di bombe. Ed ecco che agli spettatori si palesa uno scenario desolante: quella che era una sagrestia ora è un cumulo di macerie; niente è al suo posto, compresi i vestiti dei due amanti. Se alla discinta Sora Agnese (Giorgia Trasselli) è chiaro ciò che è accaduto, Don Eligio (Antonio Conte) ci mette un po’ a focalizzare il peccato commesso. Attraverso i dialoghi vivaci tra i due, il pubblico viene pian piano a conoscenza dei dettagli della relazione. Equivoci, ammiccamenti e situazioni imbarazzanti si susseguono senza posa. Lo spettacolo si regge sulla verve irresistibile e la pungente ironia di Giorgia Trasselli, che (s)veste i panni di una fedele procace, spontanea e diretta, ingenua e ignorante, il cui marito è stato mandato sul fronte russo. Il periodo di permanenza forzata sotto cumuli di macerie diventa fervido di pensieri, ricordi, dubbi e ripensamenti. Tra i due cade ogni barriera, il confessore si confessa, la vocazione vacilla, il sacro si fonde col profano, mentre la Storia fa capolino continuamente. Arrivano i soccorsi, papa Pio XII viene a benedire il Verano, ma i due protagonisti sono in preda al dubbio se uscire allo scoperto mostrando tutta la loro debolezza o rimanere nascosti e forse morire. Il finale è a sorpresa e non scontenta nessuno.