Uno spettacolo denso ed infinitamente allegorico, reinterpretabile attraverso molti punti di vista e che racchiude in sé cenni e fondamenti di molte filosofie, dalle più antiche alle contemporanee; un’opera che di certo lega strettamente la psicologia individuale a problematiche sociali rendendo, attraverso l’estremizzazione e la metafora, certe situazioni emblematiche di questioni tipiche del mondo contemporaneo. Con l’obiettivo di guadagnarsi, attraverso il superamento di prove fisiche e psicologiche, il collare bianco, simbolo illustre d’appartenenza al settore speciale antiterrorismo dei cani militari d’èlite, tre cani occupano la scena, costituita da una gabbia che potrebbe essere la caverna su cui Platone ha costruito il suo mito; all’interno di essa infatti i personaggi hanno atteggiamenti diversi, simbolo di differenti “tipi umani” e di contrastanti visioni del mondo.
Il cane Immanuel pensa coscientemente e cerca di apporre un giudizio ponderato a ciò che accade, e ciò gli consente di aver sempre chiaro il rapporto tra l’obiettivo, l’effettivo valore che esso può avere per lui, e le sue capacità per realizzarlo ottemperando alle predisposizioni richieste.
La lettura, sia in chiave sociale che a livello di attitudine personale, del pensiero kantiano può portare a molti chiarimenti sulle complessità e problematiche attuali, individuali e sistematiche.
Odin è estremamente convinto nel suo cinismo e rivolto completamente verso i propri interessi, al punto di non vedere altro oltre al guadagno monetario e dunque a disdegnare consigli che potrebbero aiutarlo nel conseguimento del suo fine. Il riferimento ai filosofi cinici in quanto tra i primi a ricavare guadagno dal proprio sapere è preciso; il rischio di far emergere solo i lati negativi di questa corrente filosofica può essere attenuato dall’effettiva scaltrezza di Odin e dalla sua, seppur egoistica, coerenza. Ed è esplicitamente ripreso qui Hobbes, secondo il quale alla base di ogni condotta c’è una matrice egoistica e per cui lo stato naturale dell’uomo è una sorta di guerra di tutti contro tutti.
C’è poi John-John, educato sin da piccolo esclusivamente alla perfezione fisica dalla scuola militare che ha sviluppato in lui un cieco servilismo che porta all’incapacità sia critica che decisionale rispetto all’azione, eseguita solo sotto ad un ordine diretto.
E si vede dunque, sempre in riferimento al mito della caverna, che ciò che più lega e costringe l’uomo alla schiavitù mentale è proprio la sua stessa volontà di non liberarsi, e che spesso essa è prodotta da predisposizioni mentali opposte tra loro: la cieca fedeltà e l’asservimento, e d’altra parte la sfiducia quasi nichilistica. Anche a livello di problematiche sociali, la resa di concetti complessi e profondi è efficace grazie all’uso di rappresentazioni paradigmatiche. Dalla scena finale, in cui si discute riguardo al trattamento da utilizzare nei confronti di un terrorista, si possono trarre molti spunti di riflessione riguardo alle contraddizioni e ai limiti di applicabilità della democrazia, ai conflitti tra diritti, leggi e valori e al rapporto tra interesse personale e utile sociale.
Queste e molte altre riflessioni sono suscitate nel pubblico dal testo di Juan Mayorga, riportato molto finemente sulla scena da Jacopo Gassman, ottimale nell’uso degli strumenti registici, soprattutto per quanto riguarda l’aspetto sonoro, sia riguardo alla scelta delle melodie che alla rumoristica generale.
Il cast è composto da Pippo Cangiano, Enzo Curcurù, Giampiero Judica, Davide Lorino e Danilo Nigrelli, attori che hanno fornito una pregevole interpretazione del testo.