in occasione della Notte degli innamorati di Napoli
organizzata dall’Assessorato alla Cultura e al Turismo del Comune di Napoli
in collaborazione con l’Accademia delle Belle Arti, le soprintendenze, i musei, istituzioni culturali
San Valentino è sì il protettore degli innamorati, ma anche degli epilettici. Così, l’ASL Napoli 1 Centro – con il costante lavoro e impegno del Direttore Generale Ernesto Esposito e la Dirigente del Polo Archivistico Anna Sicolo – apre le porte dell’ex Ospedale Psichiatrico Leonardo Bianchi (calata Capodichino 232) all’amore. Dalle 9.30 alle 18.30 danza, teatro e poesia fanno rivivere l’ex nosocomio, luogo di memoria che ancora custodisce i segni della reclusione umana.
Ore 9.30 classi IV|10.30 classi V|11.45 classi III
IL CERCHIO DELL’AMORE
Performance di danza e poesiaa cura degli allievi dell’Istituto Comprensivo Statale 20° Villa Fleurentcon la Dirigenza Scolastica di Anna Maria Silvestro
Ingresso libero|info 0817800700/5990161|Referenti Stefania Bellantonio e Chiara Pollice
Ore 9.30 |16.30
L’AMORE É… APPRENDERE UN “GESTO” PER SALVARE LA VITA
Performance a cura del 118 sulla disostruzione delle vie aeree
Presentazione e distribuzione del libro “Aspettando il 118”| ASL Napoli 1 Centro
Ore 17
TARANTERRA
Ovvero la danza della terra e dell’amore
Spettacolo teatrale|45 minuti
di Mimmo Grasso
regia Massimo Maraviglia
con Ettore Nigro e la Compagnia Asylum 2013
Marco Aspride|Anna Bocchino|Clara Bocchino
Sara Cotini|Riccardo Rico|Giulia De Pascale| Rebecca Furfaro
Raimonda Maraviglia|Monica Palomby|Teresa Raiano|Daniele Sannino
Produzione Asylum Anteatro ai Vergini
musiche originali Andrea Tarantino|voce soprano Leslie Visco
Taranterra è una messa in scena in cui gli attori danno vita agli oggetti, ai quadri e ai loro abitanti evocati dai versi, servendosi esclusivamente dei propri corpi, di tammorre, bastoni e tessuti che trasformano e ridisegnano lo spazio dell’azione, evocando ora la tenda nel deserto di un anacoreta, ora una processione, una penultima cena, una piazza d’armi, una distesa assolata di grano, un formicaio, un tempio, un pantano, una giostra, un giaciglio, una fossa, un solo luogo di ricongiungimento e a un tempo di separazione. Uno spettacolo pensato per essere rappresentato ovunque il teatro possa tornare a essere un momento collettivo di reciproco ri-conoscimento (o di ri-conoscenza?) profonda, tra chi offre e riceve, chi riceve e offre.
Ingresso libero|Info 333 1198973|347 1012863
Trailer: http://www.youtube.com/watch?v=LVakgjDzpRk
Cenni sull’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi
Nel 1909 l’ospedale psichiatrico Leonardo Bianchi inizia ad accogliere i pazienti e dopo solo un anno contava 1128 folli. Nel 1927 l’amministrazione provinciale deliberò di intitolare la struttura a Leonardo Bianchi. Nel 1930, durante la direzione Sciuti, erano ricoverati 1609 infermi, 939 uomini e 670 donne. In questi anni ai 29 padiglioni iniziali ne furono aggiunti altri quattro da adibire alle lavorazioni. In soli venti anni il nuovo manicomio si era dotato di una biblioteca scientifica, che ammontava a circa 8000 volumi, 2000 opuscoli, oltre ai periodici scientifici, di una biblioteca per i folli, di una tipografia e di una legatoria dove lavoravano anche i ricoverati; erano stati impiantati gabinetti per le ricerche di bromatologia, chimica clinica, anatomia patologica e sierologica. La direzione di Michele Sciuti, oltre ad apportare miglioramenti alla struttura edilizia, fu caratterizzata da un impegno costante di carattere terapeutico. I folli lavoravano nella calzoleria, in un laboratorio per lo sparto e la saggina, nella tipografia e legatoria, in un fabbrica di mattonelle, nella falegnameria, in un officina meccanica, nella sartoria e tessitoria, nella panetteria e, infine, nella colonia agricola. Erano seguiti e guidati nel lavoro da un tecnico ed erano retribuiti secondo parametri specifici sia con denaro che con tabacco. Il primo problema fu sempre però l’affollamento dei pazienti. Il mancato impegno della Provincia in questo senso determinò gravi disagi ai pazienti con inevitabili ricadute sulla funzionalità dei servizi e seri problemi di gestione del personale. Con deliberazione provinciale, dunque, del 31 luglio 1922 venne approvata la convenzione con i manicomi di Nocera, disponibile ad accogliere un numero di folli da 90 a 110, e Aversa, disponibile ad accoglierne da 100 a 130. Furono proprio queste circostanze a far sì che si desse corso all’ampliamento di alcuni padiglioni, entrati in funzione all’inizio degli anni Trenta. A partire dal maggio 1937, la Prefettura comunicò la necessità espressa dal Ministero della Guerra di sfollare dalle città capoluogo di provincia i ricoverati dagli ospedali, dai manicomi e dalle colonie infantili permanenti ai fini della protezione antiaerea in caso di guerra. Venne preparato un progetto dettagliato di sfollamento, con il trasferimento di numerosi pazienti in altre strutture psichiatriche e di reperimento e ristrutturazione di altri edifici nei dintorni di Napoli. Complessivamente tra 1937 e 1943 furono trasferiti 717 uomini e 766 donne. Lo scoppio della guerra, tuttavia, determinò un periodo estremamente duro e difficile, poiché la riduzione di personale sanitario e di assistenza chiamato alle armi, la riduzione di generi alimentari e di medicinali determinò notevoli difficoltà terapeutiche e gravissimi disagi ai degenti ricoverati. La struttura ebbe a soffrire delle frequentissime incursioni aeree nemiche. Particolarmente grave fu il bombardamento del 30 maggio 1943. L’8 ottobre 1943 le truppe angloamericane penetravano nell’ospedale occupando il padiglione Principe di Piemonte, lo spiazzo antistante la struttura, i viali e i terreni destinati alla coltivazione. La presenza degli alleati nella struttura è ancora segnalata l’11 settembre 1946.
Negli anni Cinquanta la documentazione lascia intravedere una situazione di sostanziale tranquillità, con l’entrata in funzione di un ulteriore padiglione – la IX sezione uomini – e un consolidato ripristino della funzionalità medico-sanitaria.
Le dimensioni assunte dall’ospedale in quel periodo, erano quelle che tuttora conserva. Il manicomio, difatti, si estende sulla collina di Capodichino a nord-est della città, ad 85 metri sul livello del mare, su un’area di 220.000 metri quadri ricchissima di spazi verdi. In essa erano distribuiti 33 edifici riuniti insieme da ampi passaggi coperti di dimensioni e di epoche diverse, che coprono una superficie di 78.000 mq. Il manicomio tra alterne vicende ha continuato la sua funzione fino alla legge 180 di Franco Basaglia, 1978, che impone la chiusura dei manicomi e regola il trattamento sanitario obbligatorio, istituendo servizi di igiene mentale pubblici. L’intenzione della legge è quella di favorire terapie che non ledano la dignità e la qualità di vita dei pazienti, che nei vecchi manicomi venivano spesso trattati con elettroshock e terapie farmacologiche decisamente invasive. A partire dall’approvazione della legge regionale n. 1/1983 iniziò la difficile e complessa operazione delle dismissioni.