Ancona Teatro delle Muse
Melodramma giocoso in due atti, libretto di Felice Romani da “Le philtre” di Eugène Scribe, musica di Gaetano Donizetti
Nuova produzione Fondazione Teatro delle Muse, allestimento Circuito Lirico Lombardo
(Recita del 2 febbraio 2014)
UN GRADEVOLISSIMO ELISIR
Alle Muse è nata una stella
Non vedevo l’ora di riascoltare la magnifica coppia Meli – Gamberoni che avevo già apprezzato nei ruoli di Nemorino e Adina al Teatro Regio di Torino, ma una brutta tracheite ha tenuto Francesco Meli lontano dal palcoscenico e Nemorino è restato a casa con lui. Al suo posto si è presentato un giovincello riccioluto col giubbotto di pelle, con la sua voluminosa capigliatura nera alla Cocciante o alla Cristicchi, che dava un aspetto naïf a questo contadinello semplice e innamorato. Proprio un perfetto Nemorino, non solo nell’aspetto ma anche nella gestualità, nell’espressione, negli atteggiamenti e, quel che più conta, nella voce, nella linea di canto, nel modo di porgere. Era Davide Giusti, un tenore ventisettenne di Civitanova Marche salito in palcoscenico nel secondo atto della prima senza uno straccio di prova. Il giorno dopo ha fatto una prova d’insieme e per la replica era perfetto. È un tenore amoroso, con voce chiara ma di spessore, di bel timbro e di notevole estensione
, ma quel che affascina, oltre ai lunghi fiati e alla facilità dello squillo, è la padronanza del fraseggio, la morbidezza della linea di canto, la giusta proiezione del suono e la capacità di arrivare al pubblico con la forza dell’interpretazione. L’attacco sommesso ma sonoro della furtiva lacrima, l’uso della messa di voce e della dinamica sfumata, le giuste pause, la splendida tenuta del fiato, la morbidezza degli appoggi gravi, lo scintillio degli acuti e dei sovracuti ci hanno fatto capire che alle Muse stava nascendo una stella. Penso che Adina sia rimasta soddisfatta, anche se il Nemorino in scena non era suo marito Francesco, e sicuramente il nuovo Nemorino si sarà sentito onorato di essere il partner di Serena Gamberoni. La voce squillante, scintillante e pulita del soprano, la bella gamma di colori, gli acuti che bucano, l’adesione al senso della frase e della parola, il canto dolcissimo (“Quanto amore”), la sicurezza dei trilli, la levigatezza dei filati, la sublime interpretazione (“Prendi, per me sei libero”) fanno di lei un’Adina di rifermento.
I loro duetti sono stati di una poesia toccante, ma anche una prova di belcanto (“Esulti pur la barbara”). Lei: “Chiedi all’aura” dolcezza del canto, sostegno del fiato, estesissima; lui: “Chiedi al rio” modo di porgere elegante, voce estesa di bellissimo colore, sostegno del fiato, mezze voci rinforzate, interpretazione molto intensa,
(“Poiché non sono amato”) passione e disperazione.
Vicino ad una simil coppia, il Belcore di Alexey Bogdanchikov (col monocolo e il cappello da bersagliere, entrato a bordo di un sidecar rosso) ha brillato un po’ meno, ma di lui abbiamo apprezzato una voce baritonale estesa di bel timbro, controllata nell’emissione e duttile nel canto sillabato e una bella tenuta scenica.
Nel ruolo del buffo si è imposto per l’ennesima volta il baritono Bruno Praticò, un dottor Dulcamara da manuale, fatto arrivare stavolta sulla storica Citroën due cavalli (purtroppo spinta a mano da figuranti). Rallentando i tempi di “Udite o rustici” per scandire bene la parola, Praticò ha sfoggiato un mezzo vocale autorevole, dal peso consistente, con tecnica
super collaudata e chiarezza del sillabato veloce; nel successivo duetto con Nemorino si è notato un affiatamento speciale, tutto scorreva con ritmo leggero, brio e armonia. Magnifico. Una vera poesia. La leggerezza del ritmo è continuata nel terzetto con Belcore, dominato da Nemorino in piedi sul tetto dell’auto. A loro si è unita un’Adina preziosamente dolce, a cui Nemorino si rivolgeva con accento patetico e profondamente sentito che arrivava al cuore (“Adina credimi”), e poi il coro per un suggestivo concertato su tempi morbidi, in fermo-immagine, per dar risalto al pathos e all’alto lirismo della pagina. Regia magnifica. Assistente di Dulcamara il mimo Alessandro Mor.
Marta Torbidoni (Giannetta) ha esibito una bella voce pulita e brillante, bella proiezione del suono, dizione chiara.
Il Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini”, guidato dal maestro Carlo Morganti, ha confermato la sua nota preparazione, è entrato con precisione nel ritmo giococo delle pagine corali e dei concertati e ci è molto piaciuta la pienezza vocale del coro delle femmine ubriache attorno a Nemorino sostenuto da un’orchestra brillante.
Il direttore d’orchestra Jader Bignamini ha colto la psicologia dei personaggi e i colori del paesaggio che emergono dalla musica. La FORM Orchestra Filarmonica Marchigiana, ben amalgamata col canto, ha tenuto tempi briosi, ritmo adeguato, suono limpido.
Andiamo infine all’aspetto visivo che potrei racchiudere in un solo aggettivo: MAGNIFICO, ma val la pena scendere nel dettaglio.
L’apertura del sipario su una grande risaia bianca, proiettata sul fondale con l’acqua che si muove e sul velatino davanti, riempie il palcoscenico di un biancore estatico da cui sbucano come per magia i coristi, che prendono colore e si muovono anche con la bicicletta. Un’originalità di questa regia è il passaggio dal bianco e nero delle figure d’insieme ferme al colore delle figure in movimento, come se prendessero vita da un amorfo stato di attesa. Molti usano la bicicletta. Bellissime le scene d’insieme con luce dall’alto ora calda ora fredda; i militari col fez rosso, capeggiati dal sindaco con la bandiera, si muovono al rallenty. Gocce di pioggia scendono sul fondale di una scena semibuia nel duetto Nemorino/Adina “Una parola, o Adina”. Lentezza di movimento della gente anche all’arrivo di Dulcamara con giacca e cappello bianchi, pantaloni neri e scarpe alla francese bianche e nere, e qui il regista si è sbizzarrito con le proiezioni in bianco e nero di pubblicità e di artisti degli anni ‘60/70 che furoreggiavano su Carosello: Topo Gigio, Calimero, l’Olandesina, Ernesto Calindri col suo amaro, Franco e Ciccio, la Marchesini, senza dimenticare il magico elisir, disturbando naturalmente l’ascolto dell’aria d’ingresso di Dulcamara, per terminare con il segnale RAI di allora, durante la vestizione di Adina sposa, e la foto ricordo del gruppo. Bella la scena coi pioppi altissimi su pannelli isolati da cui escono le mondine colorate; spiritosa quella che mostra Nemorino ubriaco disteso a terra dentro un cerchio di bottiglie vuote tra alberi in bianco e nero; non manca neanche l’erotismo: Giannetta e Belcore fanno una sveltina dentro l’auto parcheggiata, mentre Nemorino e Adina si danno un bacio. Non ho capito perché il regista ha fatto cantare la “Barcaruola a due voci” lasciando Adina in palcoscenico e mettendo Dulcamara dietro un telo con un buco tondo per mostrarne la faccia e perché alla fine ha fatto spuntare le ali a Dulcamara.
Regia e luci di Arnaud Bernard, scene e proiezioni di Carlo Fiorini, coregista e assistente alla regia Stefano Trespidi, costumi di Carla Ricotti, assistente ai costumi Giulia Pasetti.
Nell’insieme lo spettacolo è stato bellissimo.