Ci sono tre correnti di pensiero: la prima considera blasfemo buttare in farsa il capolavoro di Gogol (e una minoranza di loro lascia il teatro durante l’intervallo), la seconda è combattuta fra una fondamentale presa di distanza dall’elaborazione drammaturgica del regista e nello stesso tempo da un sincero apprezzamento per come la pièce è stata realizzata (non mi piace l’impostazione, ma è fatta bene), la terza, non dico che sia entusiasta, ma a domanda risponde che lo spettacolo è piaciuto. A mio avviso lo spettacolo, salvo una lungaggine nella parte conclusiva, merita la promozione. Per alcuni , una minoranza del primo gruppo, pensa che Gogol, guardando questa messa in scena, si sarebbe rivoltato nella tomba, per gli altri il Maestro avrebbe invece ritrovato, con questa fresca ventata di giovinezza, il sorriso. Forse avrebbe preferito una fisicità meno nevrotica, sarà rimasto un po’ basito dall’abbigliamento degli attori e da una serie di oggetti (pistole, cellulari, giradischi) a lui sconosciuti, ma si sarebbe sicuramente unito agli applausi. Ma parliamo del regista vero artefice, nel bene e nel male, dello spettacolo. Il giovane e affermato Daniele Micheletto ama provocare con la contaminazione di generi. Riesce a mettere nel frullatore commedia dell’Arte, commedia degli equivoci, un lacerto di demenzialità, musica, canto e quel che vien fuori è un gustoso melting pot.Anche in questa occasione ricorre agli stilemi del grottesco, alle recitazioni meccaniche e accelerate, agli spazi gremiti dove un gruppo di bravi attori si accanisce sul nulla (inteso come negazione della verità) in un vuoto morale angoscioso. L’importante è che in quel girotondo farneticante e burattinesco il regista non si lasci prendere la mano e non vadano perdute o messe all’angolo (come a volte accade) la finezza del testo e la grande satira sui burocrati dalla Russia zarista e sui molteplici richiami alla nostra quotidianità.Come in tutte le farse è la bravura degli attori che determina il successo dell’opera. Alessandro Albertin, Silvia Paoli, Eleonora Panizzo, Fabrizio Matteini, Alberto Fasoli, Michele Maccagno, Alessandro Riccio, Luca Altavilla, Emanuele Fortunati, Stefano Scandaletti, Pietro Pilla sono gli attori che con la fantasia, lo sghignazzo, la creatività toccano la pancia e illuminano gli occhi degli spettatori. Per dirla in sintesi: Damiano Michieletto ha giocato sui ritmi, sui tempi, sulla gestualità marionettistica che diventa balletto, sulla fisicità, sulla mimica, sull’iterazione delle situazioni, sui costumi, sui suoni, sull’ironia, sulle provocazioni del non-sense. Amen.L’ispettore generale racconta di una cittadina in cui il sindaco e tutti i notabili sono corrotti profittatori, affaristi, sfruttatori, grotteschi, infingardi. Questa sentina di umanità viene assalita da un nevrotico timore quando si sparge la voce dell’imminente arrivo in incognito di un ispettore generale da Pietroburgo. Il timore si traduce in panico quando un giovane squattrinato che prende alloggio in una misera locanda della città, viene scambiato per l’atteso Ispettore. Pensando di dover rendere atto delle loro ruberie, malversazioni e concussioni i “notabili”, sindaco in testa, cominciano a blandire servilmente il ragazzo che approfitta della situazione, sta al gioco, va a soggiornare nella casa del sindaco dove è “costretto” ad accettare denaro da tutti i gaglioffi e a “subire” le attenzioni della moglie e della figlia del padrone di casa. Poi, dopo aver chiesto e ottenuto in un generale tripudio la mano della figlia, scappa prima che la sua vera identità sia svelata… ma intanto in paese arriva il vero ispettore…Bellissima l’’ultima scena che vede al centro del palcoscenico tutti i colpevoli stretti l’uno all’altro in atteggiamento penitenziale in attesa dell’ultimo giudizio con il commento di un assordante immanente commento musicale.Le scene sono di Paolo Fantin, i costumi di Carla Teti, le luci curate da Alessandro Carletti.