Gli spazi contenuti del palcoscenico hanno reso affannosa la brutta scenografia e compresso le masse sul boccascena.
Un intreccio di tubi d’acciaio formava una costruzione aperta di due piani, che occupava tutto il palcoscenico e ospitava in basso una discoteca dove il Duca di Mantova se la spassava con donnine più o meno vestite. La discoteca con gente che ballava si vedeva in trasparenza ed era abbastanza offuscata. Negli atti successivi la costruzione si divideva in due parti, per delineare l’abitazione di Gilda e quella di Ceprano e poi la taverna di Sparafucile. La scenografia ideata da Alessandro Talevi era semplice, fredda, grigia e ingombrante, tant’è che il coro si è esibito per lo più schierato e compresso sul boccascena, dove si è dovuto lasciare un piccolo spazio anche per le ragazze <sculettanti> uscite dalla discoteca. Buie le scene, scuri i costumi di foggia moderna con qualche tocco di rosso e di bianco. Altri colori degli abiti visibili nelle foto non si sono visti in palcoscenico a causa dell’oscurità quasi costante.
A parte il riferimento iniziale ad un presunto locale da ballo, identificabile dal lampadario a sfera con specchietti tipico delle sale anni ‘60, e al carrello portapacchi per trasportare il corpo della persona uccisa alla fine, l’opera si è svolta sulla linea della tradizione e i personaggi si sono mossi entro i canoni conosciuti; c’era anche la scala appoggiata all’impalcatura per il rapimento di Gilda e non un ascensore; inoltre, se Rigoletto fosse stato un personaggio dei nostri tempi, se ne sarebbe infischiato della maledizione e anche Gilda avrebbe meno fantasticato sul “caro nome”. Altra incongruenza si è avuta alla fine, quando il cielo, a mezzanotte, si è riempito di nuvole bianche e rosate per diventare poi azzurro e aprirsi allanluce del giorno e ritornare nero. Boh!
Scene e regia di Alessandro Talevi, costumi di Manuel Pedretti, luci di Giuseppe Calabrò.
Rigoletto, comunque, è un’opera che piace sempre, perché ci sono molte arie note, gli affetti hanno il sopravvento sulla superficialità, ma anche la spavalderia fa il suo effetto, i deboli acquistano vigore, la musica è accattivante, ma il gradimento sale o scende in base agli artisti che calcano il palcoscenico. Al Teatro della Fortuna di Fano abbiamo assistito ad uno spettacolo di media levatura con un Rigoletto intenso, una Gilda delicata, un Conte spavaldo, come da copione.
Sul piano vocale il baritono Mauro Bonfanti, nel ruolo di Rigoletto (con una floreale camicia rossa sopra la classica gobba e, chissà perché, con le corna rosse), è stato credibile per l’intensità dell’interpretazione e per la passione che ha infuso al personaggio, la voce è un po’ troppo chiara per il ruolo, ma si estende facilmente verso la tessitura acuta e si scurisce nella zona grave, inoltre il canto sul fiato e la naturalezza dell’emissione gli hanno permesso di tenere una linea di canto morbida, di sostenere bene i suoni e i lunghi fiati e un accorato canto a mezza voce nei duetti con la figlia.
Laura Giordano (Gilda) ha usato con proprietà e correttezza formale una voce di soprano leggero di non grande spessore, limpida nel suono, agile nei trilli, delicata nel canto sfumato e a fior di labbro, melodiosa nei filati anche rinforzati con l’uso della messa di voce.
Gianluca Terranova ha esibito voce tenorile robusta e di bel timbro, dal suono pieno e rotondo nella zona centrale, ma, cantando col fiato, ha eluso le sfumature e le mezze voci ed ha esibito suoni stretti e ingolati nella tessitura acuta, che comunque emergono ugualmente anche dalle forti sonorità orchestrali perché lanciati di forza. Bello, luminoso e ben proiettato invece lo squillo in “Bella figlia dell’amore”.
La voce di Carlo Malinverno (Sparafucile) è risultata interessante più nei gravi cavernosi che altrove, Mariana Pentcheva ha evidenziato bel colore vocale e buon peso nelle vesti di Maddalena, sorella di Sparafucile. Fratello e sorella avevano dizione incomprensibile.
Lara Rotili (Giovanna) è un mezzosoprano di bel colore ma poco esteso, Giampiero Cicino in giacca rossa (Monterone) è un baritono chiaro di poco spessore, la maledizione non si è sentita ed è stata coperta dal coro, Giacomo Medici (Marullo) è un baritono di poco spessore. E per completare: il basso Roberto Gattei (Ceprano) che abitualmente canta nel coro, il mezzosoprano Olga Maria Salati un donnone in rosso con volpe al collo e con parrucca bianca (la contessa di Ceprano), il tenore Gilberto Mulargia (Matteo Borsa), il tenore Gianni Paci (un usciere di corte), il mezzosoprano Valentina Chiari (un paggio della Duchessa).
Buono vocalmente ma poco attivo scenicamente per mancanza di spazio il Coro formato dall’unione di artisti del Coro Lirico Marchigiano “V. Bellini” e del Coro del Teatro della Fortuna “M. Agostini”, preparato dal M° Carlo Morganti; solo nella scena del rapimento ha creato un insieme suggestivo al centro del palcoscenico tra le due abitazioni, quella di Ceprano e quella di Gilda, col contrasto delle luci che mettevano in evidenza la testa di maiale dei coristi, purtroppo in quell’occasione è stato dato poco rilievo vocale alla nota pagina “Zitti zitti”.
L’Orchestra Filarmonica Marchigiana in collaborazione con l’Orchestra Sinfonica G. Rossini, diretta da Francesco Ivan Ciampa, non è stata sempre discreta nel rispetto delle voci, ma attenta alle atmosfere, ai sentimenti, al carattere dei personaggi.
Note storiche
Rigoletto vide il suo debutto al Teatro La Fenice di Venezia l’11 marzo 1851 con Teresa Brambilla (Gilda), Felice Varesi (Rigoletto) e Raffaele Mirate (Duca di Mantova). Il Duca di Mantova fu un ruolo caro anche al tenore marchigiano Mario Tiberini che lo interpretò tra il 1855 e il 1857 nelle Antille e negli Stati Uniti e lo portò poi a Barcellona (1859) con Angiolina Ortolani che sposerà nello stesso anno, a Napoli (1861-62), a Firenze (1862), a Madrid (1868-69) (Da: Mario Tiberini, tenore di Giosetta Guerra).