Come una nuova fragranza, che crea innovazione e rottura, al punto tale che o si ama alla follia o si odia, il Riccardo III di Alessandro Gassman entra prepotentemente negli occhi e nel cuore dello spettatore della Pergola di questa sera (04/02 n.d.a.) che ne rimane o prigioniero o indifferente. Così, se da una parte una piccola nicchia di pubblico se ne sarebbe voluta andare a metà spettacolo, dall’altra, la stragrande maggioranza non avrebbe voluto mai lasciare il teatro, ed ha seguito incantata le gesta orrende di questo genio del male e del raggiro, tanto quanto è orrido il suo aspetto e lo sono le sue intenzioni.
Alessandro Gassman, nel duplice ruolo di attore e regista, si è gettato in quella che forse è stata la sua impresa più dura e difficile: lui stesso afferma che “ dopo aver interpretato questo ruolo poche cose potrebbero farmi paura: è come aver scalato una montagna”. D’altronde il Riccardo III è uno spettacolo che porta con sé “l’incombenza di gigantesche ombre familiari” dal momento che il padre lo aveva portato in scena nel 1968. Forse anche per sfuggire ad inevitabili confronti e paragoni, Gassman e Vitaliano Trevisan (poliedrico scrittore veneto, dall’inconfondibile stile schietto) hanno riadattato il testo shakespeariano, eliminando terminologie obsolete e conferendogli uno stile contemporaneo, rendendolo così “di forte impatto per tutti, anche per un pubblico più giovane e senza una preparazione culturale particolarmente ampia”. Infatti la resa scenografica si è concentrata molto su giochi di proiezioni, con evidenti ispirazioni ai mondi gotico-crepuscolari di Tim Burton, basti pensare alle scene di Dark Shadow o ad alcuni costumi dei personaggi (il duca di Buckingham poteva essere un perfetto Cappellaio Matto), che sicuramente i molti giovani presenti in sala avranno apprezzato.
Gassman ha portato in scena un Riccardo diverso dal deforme uomo basso e con la schiena ricurva; bensì un gigante (seppur con l’andatura zoppicante e il braccio avvizzito), dall’animo orgoglioso, malvagio e machiavellico, bramoso di potere, che incute paura, e si prende gioco di ognuno con maestria. Affiancato dalla moglie, Sabrina Knaflitz (nel ruolo di Lady Anna) e da un immenso Manrico Gammarota (Tyrrel), in un ruolo che è stato approfondito dallo stesso regista, umanizzando la figura del sicario che man mano che il racconto avanza, si scopre, soffre (come un moderno Innominato), turbato dalla coscienza, da quella voce interiore impossibile da sopprimere, “la voce dell’anima”.