La seconda parte della stagione 2013/14 a Teatri di Vita spalanca lo sguardo sulle inquietudini artistiche del presente andando oltre le frontiere del contemporaneo. Sono 10 appuntamenti di teatro e danza, che attraversano generi, stili, linguaggi, suggestioni, in programma dal 23 gennaio al 18 maggio, a Teatri di Vita (via Emilia Ponente 485, Bologna; www.teatridivita.it; infoline: 051.566330). Una panoramica ricca e in parte inedita sullo spettacolo contemporaneo. Un invito al pubblico per unire divertimento e riflessione, anche grazie al basso prezzo dei biglietti (che tocca punte vantaggiosissime nell’abbonamento complessivo a soli 49 euro).
La prima linea guida della stagione evidenzia l’attenzione ai giovani e agli “invisibili”, o meglio alle realtà artistiche, anche ormai consolidate, che difficilmente è possibile vedere e conoscere. Come la Compagnia Zappalà Danza, formazione di eccellenza della danza contemporanea, con sede a Catania ma con una forte esperienza internazionale; o come i Sacchi di Sabbia, che affrontano con ironia e arguzia, con minimalismo e interdisciplinarietà, miti e storie della nostra cultura, come – in questo caso – il sacrificio di Isacco e l’invasione degli ultracorpi. Un’importante finestra è aperta sulle esperienze artistiche giovani, come quella di nO (Dance first. Think Later), gruppo rivelazione dell’ultima edizione del Premio Scenario, il cui spettacolo di debutto (un Fassbinder riletto attrraverso una sceneggiata napoletana postmoderna) viene presentato nell’ambito di Interscenario, la rassegna trasversale realizzata con La Soffitta e l’Itc Teatro. O come quella di T/S teatrostalla di Matteo Latino, vincitore della penultima edizione del Premio Scenario, che presenta qui il suo secondo lavoro, in prima nazionale e grazie a una residenza creativa.
La seconda linea guida evidenzia il forte legame con Bologna, in un’ottica non provinciale. Ecco, allora, oltre alla ripresa dello spettacolo di Andrea Adriatico, prodotto da Teatri di Vita, dedicato a Pier Vittorio Tondelli, la novità (in prima nazionale) creata da Pietro Babina per Francesca Mazza, che rilegge il mito di Faust e Margherita in uno spettacolo creato in residenza a Teatri di Vita. Ed ecco la potente e modernissima lettura di Ibsen compiuta da Archivio Zeta, che coinvolge gli spettatori in una profonda riflessione sulle responsabilità etica e politica rispetto all’ambiente. E infine, la “personale” di un autore e regista (ma anche docente e critico teatrale), Giuseppe Liotta, che da alcuni decenni ha sviluppato un proprio percorso artistico con la compagnia Trame Perdute, fra testualità e teatro d’attore: a lui è dedicata una settimana con due spettacoli (tra cui una novità in prima nazionale) e la presentazione del suo nuovo libro che raccoglie le recensioni teatrali in 30 anni di attività.
Come ogni anno, Teatri di Vita offre anche un corso di teatro da gennaio a maggio, condotto da Anna Amadori: un corso di recitazione di base, che aiuterà gli iscritti a confrontarsi con la pratica della scena e a scoprire meglio i segreti del teatro.
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SCHEDE SINTETICHE DEGLI SPETTACOLI
23-26 gennaio
30 gennaio-2 febbraio
Histoire de “F”
(Come Faust e Margherita divennero una sola anima corrotta)
Produzione Tra un atto e l’altro & Mesmer
Con Francesca Mazza, Fabrizio Croci
e con le voci di Maurizio Cardillo, Marco Cavalcoli, Gino Paccagnella, Sandra Soncini, Mila Vanzini
Regia e drammaturgia Pietro Babina
Concept scenografico Pietro Babina
Immagini scenografiche di Claudia Marini
Animazioni digitali Pier Paolo Ferlaino
Sonoro Studio Arkì
Aiuto Regia Mila Vanzini
Arrangiamento musicale Guido Sodo
Promozione Viviana Vannello
Scenotecnica Giovanni Brunetto
Si ringraziano Chiara Fava e Pathosformel
Un ringraziamento speciale a Pubblico, Teatro di Casalecchio di Reno
Realizzato con un sostegno residenziale di Teatri di Vita
PRIMA NAZIONALE
lo spettacolo prevede l’uso di immagini vietate ai minori di 18 anni
Un importante debutto inaugura la seconda parte della stagione 2013/14 di Teatri di Vita: il nuovo spettacolo di Pietro Babina, realizzato anche grazie a una residenza nel nostro teatro.
Forse In una provincia indefinita. Forse un’attrice drammatica. Forse Faust.
Esce dallo scaffale impolverato il libro evocando dal nulla personaggi, voci e luoghi, che in forme fantastiche e spettrali si producono sulla scena dando vita ad una fantasmagoria.
F si aggira circondata e posseduta da personaggi e fantasmi. Giunta come Faust al momento del patto col diavolo sprofonda nel baratro trascinando con se ogni cosa in una emblematica deriva sadiana in cui la sua ragione, la sua cultura e i suoi principi di libertà si pervertono nella carne viva di un nouvelle Margherita votata alla corruzione, la nostra Margherita.
Pietro Babina ha fondato nel 1989 con Fiorenza Menni il Teatrino Clandestino, una delle realtà più importanti del nuovo teatro degli anni 90 e nel primo decennio del nuovo secolo, pluripremiata ambasciatrice dell’arte contemporanea dello spettacolo nei maggiori festival internazionali. Dal 2010, Babina ha iniziato un autonomo percorso di ricerca che si è concretizzato nella realtà produttiva Mesmer, mettendo a punto progetti che attraversano teatro, audiovisivi e nuovi strumenti comunicativi, tra cui “ECO – electronic cooperation online” e il recente “3more60°”.
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11-16 febbraio
“Biglietti da camere separate”
uno sguardo di Andrea Adriatico
su Pier Vittorio Tondelli
musiche originali di Massimo Zamboni cantate da Angela Baraldi
luci, scene e costumi di Andrea Cinelli
cura artistica di Saverio Peschechera
fotografia Raffaella Cavalieri
supporto tecnico creativo di Roberto Passuti e Gianluca Tomasella
produzione Teatri di Vita
POSTI LIMITATI
Un romanzo intimo che racchiude il Tondelli segreto di fronte ai misteri dell’amore e della morte. E’ Camere separate, storia bruciante e autobiografica, pubblicata due anni prima della scomparsa del suo autore, avvenuta nel 1991. A Tondelli, enfant terrible della letteratura italiana degli anni ’80, Adriatico rende omaggio con uno spettacolo che nasce da quel suo romanzo. Due uomini in scena raccontano la storia di Leo, scrittore omosessuale che deve fare i conti con un lutto importante nella sua esistenza. Sarà l’occasione per inseguire le tracce di sé disseminate nel tempo di una vita, dall’adolescenza inquieta in un paese della provincia padana ai viaggi per l’Europa mentre la geografia politica ed emozionale di un intero continente cambia pelle. Ma le “camere separate” sono anche la richiesta di un modello d’amore, capace di esprimersi solo per prossimità e mai per convivenze troppo opprimenti.
Ho conosciuto Pier Vittorio Tondelli negli anni amari, in quel finire di secolo che ha sterminato le menti che ho amato di più nella mia prima giovinezza.
Sì, gli anni ’80 sono questo per me: anni amari.
L’Aids si è portato via i sogni della gente di quel tempo, e non li ha più restituiti. Anzi… ha regalato in cambio un sonno perenne, definitivo, ad un’intera generazione.
Gli anni amari di Pier Vittorio Tondelli sono finiti così, nel 1991, vent’anni fa, al debutto di un Natale, in un letto d’ospedale.
Non ha parlato mai della sua malattia pubblicamente. Non ha parlato mai del suo morire. Almeno in apparenza.
L’ha però trasposta in un racconto carico di umanità legato alla morte altrui, usata come specchio per l’anima.
Ha però parlato di omosessualità, di silenzio, di vita, di misteri delle emozioni, quasi suo malgrado. Ha percorso il suo tempo spaventato dall’essere considerato troppo giovanilista, troppo frocio per froci, troppo marchio per esordienti, troppo etichetta, secondo la moda che gli anni amari hanno trasmesso alla storia. In quegli anni non l’ho amato.
Oggi è forse uno dei pochi autori di cui credo di aver letto quasi ogni riga. A cui ho dedicato una delle due sale del teatro che dirigo. Convinto come sono che non sia, come ingiustamente molti pensano, solo un autore del suo tempo, miseramente relegato nel turbine di weekend postmoderni.
Per questo provo a restituire Camere separate in brevi biglietti, vent’anni dopo, sentendone proprio ora tutta la straordinaria potenza e attualità.
(Andrea Adriatico)
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7-9 marzo
“Abram e Isac”
Sacra rappresentazione in cartoon
liberamente tratto dalla Rappresentazione di Abramo ed Isac di Feo Belcari
scrittura Giovanni Guerrieri
libri Giulia Gallo
con Arianna Benvenuti, Giulia Gallo, Giovanni Guerrieri, Giulia Solano
Produzione: I Sacchi di Sabbia, Federgat
con il sostegno della Regione Toscana
“Il ritorno degli Ultracorpi”
Scrittura Giovanni Guerrieri
Libri Giulia Gallo
con Gabriele Carli, Giulia Gallo, Enzo Illiano, Giulia Solano
tecnica Federico Polacci
Produzione: I Sacchi di Sabbia/Compagnia Sandro Lombardi
in co-produzione con Armunia
con la collaborazione del Festival internazionale di Andria Castel dei mondi
e con il sostegno della Regione Toscana
Dalla sacra rappresentazione alla fantascienza. Ovvero l’allegoria e il soprannaturale. Ma soprattutto l’ironia dei Sacchi di Sabbia, la compagnia toscana che negli ultimi anni ha saputo inventare un formidabile linguaggio minimale e coinvolgente. Che ora si applica nientemeno che a due opere agli antipodi e particolarmente evocative: il sacrificio di Isacco ripreso dall’opera quattrocentesca di Feo Belcari, e il celebre film dell’invasione dei pericolosi baccelli alieni.
I Sacchi di Sabbia nascono a Pisa nel 1995. Negli anni la Compagnia si è distinta sul piano nazionale, ricevendo importanti riconoscimenti per la particolarità di una ricerca improntata nella reinvenzione di una scena popolare contemporanea.
In perenne oscillazione tra tradizione e ricerca, tra comico e tragico, il lavoro di I Sacchi di Sabbia ha finito per concretizzarsi in un linguaggio in bilico tra le arti (arti visive, danza, musica), nella ricerca di luoghi performativi inconsueti, e sempre con uno sguardo vivo e attento al territorio in cui l’evento spettacolare è posto.
Significativi i premi vinti: Premio Eti Il Debutto di Amleto (2000 e 2001), Premio speciale Ubu (2008), Premio della critica teatrale (2011).
Ci è sembrato interessante accostare in un’unica serata questi due pezzi, nati in momenti e in contesti differenti.
Abram e Isac (2011) è una piccola “sacra rappresentazione”, in cui l’episodio biblico del sacrificio di Isacco diviene il pretesto per una riflessione sull’enigma della comunicazione tra Abramo e Dio, in una dimensione scenica al tempo stesso materica e metafisica, interamente realizzata attraverso la manipolazione di libri pop-up.
Il ritorno degli Ultracorpi (2012) poggia invece sul famoso topos di fantascienza dei baccelloni alieni, ladri di corpi, capaci di clonare gli esseri umani, per poi sostituirli nel sonno.
In comune i due pezzi hanno il gusto per l’oltremondano, il senso dell’allegoria, la forza della metafora.
E naturalmente l’ironia.
Ci piace definirli “liriche dialettali”: il cuore del primo pezzo è l’antico toscano di Feo Belcari, che riscrisse nel 1440 per la corte medicea una Rappresentazione di Abram e Isaaac; il secondo pezzo invece si annoda sul dialetto napoletano, con un esplicito riferimento ai grandi autori che ne hanno fatto una straordinaria lingua teatrale.
Insieme offrono i dissonanti aspetti della nostra ricerca teatrale.
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14 marzo
“Trenofermo a-Katzelmacher”
ideazione Dario Aita, Elena Gigliotti
partitura fisica Elena Gigliotti
con Dario Aita, Emmanuele Aita, Maria Aterno, Luigi Bignone, Lucio De Francesco,Damien Escudier, Marcella Favilla, Melania Genna, Giovanni Serratore, Daniela Vitale
costumi Giovanna Stinga
consulenza scene Paola Castrignanò
consulenza tecnica audio/video Ludovico Bessegato
produzione nO (Dance first. Think later)
Segnalazione al Premio Scenario 2013
Lo spettacolo è inserito nella rassegna “Interscenario 4. Le generazioni del nuovo”
a cura di Nicola Bonazzi, Stefano Casi, Cristina Valenti (5-15 marzo 2014)
Un’iniziativa di Centro La Soffitta, Compagnia Teatro dell’Argine, Teatri di Vita,
in collaborazione con Associazione Scenario, Associazioni Parenti delle Vittime della Strage di Ustica, Assemblea Legislativa Regione Emilia-Romagna
Nove ragazzi, in una città indefinita con stazione e binari annessi, incontrano un marocchino. E nel rondò di sfottimenti, violenza, e tradimenti, si muovono questi avanzi di città, partoriti a muscoli, calcio, karaoke, sangue, e katzelmacher.
Venti occhi. Dieci teste. Si riconoscono sul loro sempr’eterno, sempr’arrugginito marciapiede. Sotto casa. Non hanno una città, la vivono. In modo parassitario, ma non lo sanno. E per l’esattezza, questo ammasso di case in cui sono nati, si estende orrendo da Adelfia Capurso Casarano Manduria Torre Paese Rione Terra Afragola Filadelfia Sant’Elia Cetraro Verbicaro Maida San Vito sullo Jonio Santa Flavia San Cipirello Castellana Sicula Petralia Soprana Roccamena Partanna Campobello di Mazara eccetera eccetera a : nuova destinazione. Purché… si balli!
La trama è facilissima nei fatti, incomprensibile nei motivi che la mandano avanti (e indietro). Storia di motorini, amori, ragazze madri, legnate, bastunate, sogni. Sogni facili. Nelle camerette con poster di neomelodici. Il sud. Il sud che è niente. Che siamo noi. Venti occhi. 10 teste. Attraverso gli occhi di uno straniero. Occhi sporchi di terra straniera. Che hanno paura e fanno paura. Che aspettano ‘o sule e trovano ‘u sangu. E l’amuri. Un amuri diverso come lui. L’amuri che ci rende uguali.
Il progetto dello spettacolo è stato segnalato all’ultima edizione del Premio Scenario, entrando nella “Generazione Scenario”, che viene presentata a Bologna negli spazi dei tre soci bolognesi di Scenario: Itc Teatro, La Soffitta e, appunto, Teatri di Vita.
“Fermo a Katzelmacher, in un sud che è magma di province e dialetti, c’è un treno che non parte, metafora di un’attesa consumata fra indolenza, sogni a buon mercato, kitsch di canzoni neomelodiche, vitalità bloccata in un eterno ralenti. La compagnia nO (Dance first. Think later) sceglie la sfida di un lavoro collettivo per portare in scena una pluralità disordinata di voci, attitudini, fisicità eccessive e debordanti che sono specchio di spaccati sociali osservati con attenzione. Una tensione sempre pronta ad esplodere si catalizza nell’arrivo dello straniero e si blocca su un motorino che non parte, prima di ogni corsa possibile” (motivazione della segnalazione Premio Scenario 2013).
Il gruppo nO (Dance first. Think later) è originariamente formato da giovani attori diplomati presso la Scuola di Recitazione del Teatro Stabile di Genova. Dalla frequentazione e dall’esperienza condivisa negli anni di studio è maturato il desiderio di continuare ad incontrarsi e ad incontrare altri artisti per lavorare creativamente sul linguaggio performativo e sulle pratiche del corpo e della parola anche come occasione di ricerca e crescita personale. Dal 2010, con la regia di Claudia Monti, nO porta in scena: “Ballata della Necessità” e “Non vedo l’ora!”. “CIAULAtotheMOON”, con la regia di Elena Gigliotti, è vincitore alle selezioni del Napoli Fringe Festival 2013.
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15-16 marzo
“Bambi Says Fuck”
scritto e diretto da Matteo Latino
performer Danilo Tesi
audio Dario Salvagnini
costumi Gianluca Falaschi
produzione T/S teatrostalla
PRIMA NAZIONALE
Matteo Latino è stato il vincitore del prestigioso Premio Scenario nel 2011 con il progetto “INFACTORY”, che ha mostrato un sorprendente lavoro artistico tra poesia, visionarietà e potenti riflessioni sul disagio giovanile . Teatri di Vita lo ospita in una residenza che approda alla creazione del suo secondo spettacolo, “Bambi Says Fuck”, sul contagio e la malattia.
“Bambi Says Fuck” è una voce. La voce di un uomo ai margini. Un’ombra che si ferma per strada in una notte qualunque. Una domanda lunga. Una richiesta d’aiuto continua. Una confessione senza punteggiatura. Un racconto con la scusa di stare insieme.
Andare in giro di notte senza protezione. Corpi che abitano il buio e che non effettuano verifiche di nessuna sorte. Il rischio di un contagio. La solitudine come occasione d’incontro. Voci senza un nome interrotte di continuo.
Pensieri confusi, pieni d’amore, terribili, lanciati in una tempesta di suoni metallici. E quando tu pensi che non puoi più resistere, che non ci stai capendo nulla della sua lotta, che non lo sopporti questo animale che respira con la bocca mentre ti parla senza conoscerti, che lo odi, e che odi la sua solitudine, le sue ferite, che vorresti capire di più, che quello che ti sta raccontando è una storia che non ti riguarda, e che non vuoi che ti riguardi, ecco che lui, proprio lui, questo animale che respira con la bocca e che ti parla, tira fuori la domanda più difficile da fare e da cui liberarsi: perché non resti qua con me ora che hai riempito il bicchiere d’acqua?
Un bicchiere d’acqua non si nega a nessuno. Eppure è difficile riempirlo.
Essere innamorati. Perdersi. Possedere un corpo diffidente. Essere malati. Cercare una famiglia. Rincorrere delle passioni. Sentirsi impotenti. Avere un corpo che non ti protegge più. Vivere il mondo come una minaccia.
Inizio. Partire. Tracciare una linea. Fuggire.
Dove fuggire non significa propriamente muoversi. Le fughe possono essere fatte sul posto. Un viaggio immobile in un mondo perennemente in movimento. Un movimento verso il fuori. La possibilità dell’incontro e del rischio.
Prendere le viscere e metterle li, sul tavolo. E le guardi. E ti guardano anche loro.
E cosa dici?
Bisognerebbe ammettere che le relazioni tra le cose possano essere cambiate.
“Bambi Says Fuck” è un principe. Desideroso di pietà e affetto disperato. E’ convinto che uccidere o morire è esattamente la stessa cosa. Ma deve succedere lealmente. Un colpo solo.
E, come un vaccino che una volta iniettato stimola nel corpo la reazione immunitaria, così questo lavoro, che continuerà a porre quesiti, iniettandoli nella vita, scatenerà soluzioni di sopravvivenza. Spesso apparentemente libere.
La sua salvezza è condizionata da una ferita che non può sanare perché è essa stessa a produrla. Per restare tale, la vita, deve piegarsi a una forza estranea, se non ostile, che ne inibisce lo sviluppo.
(Matteo Latino)
La compagnia T/S teatrostalla nasce nel 2009 ed è fondata da Matteo Latino con la collaborazione di altri. Nel 2010 diventa compagnia residente al KollatinoUnderground. Qui si occupa della gestione delle sale teatro insieme alle altre compagnie residenti, tra cui Santasangre, Muta Imago e Teatro Deluxe.
Vince PremioScenario 2011 con lo spettacolo INFACTORY. Matteo Latino è l’autore, ne cura la regia ed è in scena con Fortunato Leccese. Nel 2012 la compagnia si impegna nella realizzazione di un TeatroDimora all’interno di una stalla nel Parco Nazionale del Gargano. Realizza il fumetto INFACTORYINFUMETTO e l’adattamento cinematografico INFACTORY INMOTION co-prodotto con FestaAmbienteSud.
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4-6 aprile
“Nemico del popolo”
di Henrik Ibsen
drammaturgia e regia Enrica Sangiovanni e Gianluca Guidotti
con Enrica Sangiovanni, Gianluca Guidotti, Alfredo Puccetti, Luciano Ardiccioni
musiche Patrizio Barontini, Giovanni Battista Pergolesi
assistente Giulia Piazza
sartoria Made in Tina
foto di scena Franco Guardascione
produzione Archivio Zeta
La responsabilità etica per l’ambiente: tema caldo, ormai imprescindibile nell’agenda attuale, che per primo Ibsen portò sulle scene in un dramma rovente e problematico: “Nemico del popolo”. A darne una lettura stringente sull’attualità, magari senza dimenticare l’Ilva di Taranto, è Archivio Zeta che, forte di una consolidata esperienza nella rievocazione delle tragedie greche, ridà al dramma di Ibsen una inedita potenza tragica.
Gianluca Guidotti e Enrica Sangiovanni hanno studiato e lavorato con Luca Ronconi, Marisa Fabbri, Jean-Marie Straub, Danièle Huillet e Paolo Benvenuti. Hanno fondato Archivio Zeta nel 1999; vivono sui monti dell’Appennino. Hanno diretto, tra l’altro, Una Trilogia tragica: I Persiani (2003), Sette contro Tebe (2005) di Eschilo, Antigone (2006) di Sofocle al Cimitero Militare Germanico della Futa; il Progetto sulla Shoà La Notte di Elie Wiesel (2002) costituito dall’omonimo spettacolo teatrale e dal film Viaggio nella Notte. Nel 2010 inaugurano il Progetto Orestea con Agamennone di Eschilo al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa. Nel 2011 dirigono La Zona Grigia da Primo Levi ideato e prodotto con la Scuola di Pace di Monte Sole, Il Presidente di Thomas Bernhard, testo mai rappresentato in Italia e Edipo Re di Sofocle nella traduzione di Federico Condello per il Teatro Romano di Fiesole. Nella primavera del 2013 debutta Nemico del popolo di Henrik Ibsen allo Spazio Tebe. Nell’estate del 2013 è stata presentata integralmente l’Orestea di Eschilo al Cimitero Militare Germanico del Passo della Futa.
Per la prima volta affrontiamo un dramma di Henrik Ibsen (Skien 1828 – Oslo 1906).
“En folkefiend/Un Nemico del popolo” è stato scritto nel 1882 e tra i capolavori di Henrik Ibsen ci ha sconvolto per la sua tragica e lucida analisi del rapporto tra etica e ambiente.
È la storia di un medico che scopre, dopo un’accurata perizia, che le terme pubbliche, risorsa economica della città sia dal punto di vista occupazionale che turistico, sono appestate, così come tutto il territorio circostante, da sostanze inquinanti, scarichi delle industrie.
A partire da questa scoperta si mette in moto un meccanismo drammaturgico febbrile: subito il medico vuole denunciare il disastro ambientale e cercare di porre rimedio a questo problema.
Ma da una parte suo fratello, sindaco della città e rappresentante dei potenti azionisti di maggioranza delle terme, e dall’altra i giornalisti del quotidiano locale, si scontrano dialetticamente.
Abbiamo operato un vero e proprio restauro del testo, eliminando del tutto l’apparato ottocentesco e ci siamo concentrati drammaturgicamente sui conflitti sociali, etici e politici. Uno dei nodi del testo sono le parti relative alla descrizione delle analisi chimiche e delle patologie legate agli inquinanti, scritte nel linguaggio medico scientifico tardo-ottocentesco, che abbiamo chirurgicamente sostituito con il lessico delle perizie presentate qualche mese fa alla magistratura per la denuncia della tragedia dell’Ilva di Taranto. Nonostante questo accurato lavoro di restauro, lo spettacolo non è una attualizzazione, una denuncia o un tradimento del dramma di Ibsen, ma un tentativo di recuperare il senso profondo dell’opera linguisticamente, nelle parole-pietre che corrispondono a quattro diversi atteggiamenti morali nei confronti del mondo: quattro infatti sono i personaggi rimasti nella nostra versione, quasi fossero campioni umani sotto la lente di un acuto osservatore dei comportamenti e delle idee. Quello che mettiamo in scena quindi non offre soluzioni rassicuranti nelle quali il pubblico possa trovare conforto e compiacimento autoassolutivo ma pone, come nella tragedia greca, gli esseri umani di fronte alla loro fragilità essenziale.
I conflitti sono contemporanei: la presa di coscienza di una tragedia in atto e l’occultamento delle responsabilità, la scelta tra un radicale cambiamento dello stato delle cose e l’impossibilità da parte del potere e della società di accogliere questo cambiamento. Chiaramente e con toni profetici emergono le antinomie: salute/lavoro, ambiente/progresso, democrazia/dittatura della maggioranza.
In due recenti spettacoli La Zona grigia (2011) da I sommersi e i salvati di Primo Levi e in Eumenidi (2012) ultima tragedia dell’Orestea di Eschilo, abbiamo posto le basi per provocare negli spettatori una riflessione sulla partecipazione, sul voto, sui meccanismi della democrazia, sulla responsabilità individuale e collettiva e sul giudizio, questo testo di Ibsen ci dà la possibilità di andare ancora più a fondo.
(Gianluca Guidotti, Enrica Sangiovanni)
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10-12 aprile
“Anticorpi”
(terza tappa del progetto Sudvirus)
progetto di Roberto Zappalà
da un’idea di Nello Calabrò e Roberto Zappalàcoreografie Roberto Zappalàdanzatori Gaetano Badalamenti, Maud de la Purification, Alain El Sakhawi, Roberto Provenzano, Fernando Roldan Ferrer, Ilenia Romano, Valeria Zampardi
si ringraziano i danzatori per la preziosa collaborazione alla costruzione
luci e costumi Roberto Zappalàassistente alle coreografie Daniela Bendini e Paola Valentiresponsabile tecnico Sammy Torrisimusiche varie – effetti sonoriSalvo Notoproduzione e tour manager Maria Inguscio
una produzione compagnia zappalà danza e Scenario Pubblico international choreographic centre Sicily
in collaborazione con GoteborgsOperan Danskompani, Civitanova Danza/Amat, Fondazione Nazionale della Danza (Reggio Emilia) e C.Re.do contemporaneo
con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e Regione Siciliana Ass.to al Turismo, Sport e Spettacolo
La bussola della danza contemporanea nella seconda parte della stagione 2013/14 di Teatri di Vita ci porta al sud, e in particolare a una delle esperienze più significative ed eclatanti, che ha sede a Catania, dove è stata fondata nel 1989 da Roberto Zappalà: la compagnia Zappalà Danza.
“Anticorpi” è il tassello stilistico solo ed esclusivamente dedicato alla danza del progetto “Sudvirus o dell’appartenenza”. “Anticorpi” è la declinazione “scientifica” del progetto; il linguaggio coreografico, che ha come punto d’inizio l’osservazione al microscopio del virus “analizzato”, si sviluppa in una coreografia convulsa e minuziosa che i danzatori della compagnia rendono linguaggio dal contagio sottile, coinvolgente e progressivo.
Sul palcoscenico/vetrino i movimenti in apparenza caotici di organismi macroscopici (i danzatori), “replicano e ritrasmettono” l’apparente caoticità di organismi microscopici; ma, come nella vita, il caos è organizzato. E se in laboratorio spesso si utilizzano liquidi di contrasto per meglio scoprire e seguire nuovi percorsi della materia che si intende analizzare, allo stesso modo, in “Anticorpi”, un preludio di Bach e uno scioglilingua siciliano ripetuto come un mantra si insinuano nel tessuto percussivo/ossessivo della musica elettronica per indicare nuovi percorsi estetici e narrativi.
In “Anticorpi” incomincia a delinearsi l’altro aspetto del progetto, quello relativo all’appartenenza. Nello spettacolo il virus viene declinato dall’ambito biologico a quello culturale trasmettendo il suo contagio da un corpo biologico ad un corpo sociale. Trasportato dal corpo/voce dei danzatori il virus si insinua così in quelle manifestazioni assolute di appartenenza che sono gli inni (nazionali e non), per creare così spazi e mondi possibili ma inesplorati, che dal caos conducono alla pacificazione finale.
Danze e suoni come oasi di diversità, luoghi altri che, parafrasando Calvino de “Le citta invisibili”, ci permettano di distinguere nel virus/mondo che ci circonda quello che virus non è, e dargli spazio.
In 22 anni di attività con la compagnia Roberto Zappalà ha realizzato oltre trenta produzioni che sono state presentate in tutta Europa, Centro e SudAmerica, Medioriente, Sudafrica. Roberto Zappalà è anche responsabile del recupero e ideazione nonché direttore artistico di Scenario Pubblico international choreographic centre Sicily, aperto nel 2002 e residenza della Compagnia Zappalà Danza: una struttura pensata per la danza contemporanea, raro esempio di centro coreografico in Italia, che ha consentito alla compagnia ed al coreografo di ampliare ed approfondire il lavoro di ricerca coreografica e di radicarsi sul territorio con un’attività non solo di produzione ma anche di formazione tramite l’avviamento di MoDem/codici gestuali compagnia zappalà danza, una struttura che promuove la diffusione del linguaggio della compagnia.
Nel novembre 2013 ha ricevuto il Premio dell’Associazione Nazionale Critici di Teatro.
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5-7 maggio
“Eva”
da“Innamorate dello spavento”
di Massimo Sgorbani
con Federica Fracassi
regia di Renzo Martinelli
dramaturg Franesca Garolla
audio e video Fabio Cinicola
produzione Teatro i
con il patrocinio di Next / Laboratorio delle Idee
La fine della guerra, la fine di Hitler.
Si è consumata un’enorme tragedia e, nello stesso tempo, la tragedia stessa non riesce a compiersi. Eva, sola in scena, aspetta questa fine, un personaggio tragico a cui è preclusa la dimensione del tragico. Eva è una donna che sta per morire ed è una donna innamorata. Innamorata di Hitler, fedele al suo amore fino all’ultimo istante.
In questa tragedia mancata e grottesca Eva è un’eroina per cui non si può non provare tenerezza, nonostante tutto, proprio come se l’oggetto del suo amore potesse essere dimenticato. Eva confonde la sua storia con quella di Rossella O’Hara: c’è desiderio, ammirazione, battaglie da vincere e da perdere, fedeltà, fino alla fine.
Eppure,da questo infinito amore, al di là del bene e del male, affiora la paura. Paura dell’abbandono, paura dello strapotere dell’amato, paura della propria fragilità di amanti, paura che l’amore finisca, paura che l’amore si realizzi, paura dell’amore stesso e di quello che l’amore può chiedere.
Innamorate dello spavento è un progetto di Teatro i in cui l’autore Massimo Sgorbani cattura le voci di alcune donne legate al Führer che precipitano inarrestabili verso la fine del Reich.
Tra il 29 aprile e il 1° maggio del 1945, nel bunker sotterraneo del Palazzo della Cancelleria di Berlino, alcuni dei principali rappresentanti del partito nazionalsocialista si suicidano. Poche ore prima Hitler sposa Eva Braun. Poche ore dopo Hitler e signora si uccidono con le fiale testate sul pastore tedesco del Führer, Blondi, il primo a morire. Poche ore dopo Magda Goebbels somministra le fiale ai sei figli addormentati. Ancora poche ore, e anche Magda e il marito si avvelenano con le stesse fiale.
Innamorate dello spavento si compone di tre testi distinti che Teatro i sta affrontando con la regia di Renzo Martinelli e l’interpretazione di Federica Fracassi. Il primo, Blondi, è stato prodotto dal Piccolo Teatro di Milano nella stagione 2012‐2013 e sarà nuovamente in scena sul medesimo palco il prossimo maggio. La seconda parte, Eva, un work in progress le cui tappe hanno portato a molteplici versioni dello spettacolo realizzate ad hoc per i luoghi ospitanti, dà voce all’omonima protagonista, Eva Braun che, precipitando ignara verso il suicidio, intreccia la sua storia con quella di Rossella O’Hara, protagonista di Via col Vento, il suo film preferito. Infine, la terza parte, che vede in scena Magda Goebbels e lo stesso fuhrer, vedrà una prima versione in forma di studio nella prossima stagione teatrale.
Federica Fracassi e Renzo Martinelli tornano a Teatri di Vita dopo oltre dieci anni, quando presentarono al nostro pubblico lo spettacolo Sinfonia per corpi soli ispirato a Sarah Kane.
Federica Fracassi, attrice (Premio Ristori, Premio Olimpici del Teatro, Premio della Critica, Menzione d’onore e Premio Eleonora Duse, Premio Ubu) conduce insieme a Renzo Martinelli il progetto di Teatro i, una vera e propria factory del teatro contemporaneo, attivo a Milano da qualche stagione. Interprete sensibile alle nuove drammaturgie, votata alle scritture più visionarie, feroci, poetiche degli ultimi anni ha lavorato tra gli altri con Valerio Binasco e con Valter Malosti.
In ambito cinematografico è stata diretta recentemente da Marco Bellocchio, Giorgio Diritti, Gabriele Salvatores.
Renzo Martinelli regista, è direttore artistico di Teatro i, compagnia di produzione che gestisce dal 2004 l’omonimo spazio teatrale a Milano. Le regie di Martinelli privilegiano un’autonoma costruzione scenica in costante dialogo con una drammaturgia della contemporaneità. Tra i suoi lavori ricordiamo: La Santa di Antonio Moresco (2000) vincitore del premio Sette spettacoli per un nuovo teatro italiano per il 2000; Prima della Pensione di Thomas Bernhard (2006), Incendi di Wajdi Mouawad (2011), Hilda di Marie Ndiaye (2011), Lotta di negro e cani di Bernard-Marie Koltès (2012). Teatro i nel 2006 ha vinto il premio Hystrio- provincia di Milano.
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13-15 maggio
“Maria Pascoli, una storia segreta”
di Giuseppe Liotta
con Uliana Cevenini, Mirella Mastronardi, Alessandro Tampieri
regia di Giuseppe Liotta
assistente alla regia Caterina Todaro
organizzazione Elena Bastia
produzione Compagnia teatrale Trame Perdute
PRIMA NAZIONALE
Teatri di Vita dedica una settimana al lavoro pluridecennale della compagnia Trame Perdute, basata a Bologna, e del suo direttore Giuseppe Liotta, drammaturgo, critico teatrale, docente universitario. Un omaggio che cade in concomitanza dell’uscita del volume che raccoglie le recensioni dello stesso Liotta: “Il diavolo e la bellezza. Trent’anni di critica teatrale (1968-1998)” (TramePerdute Edizioni, 2014). L’omaggio prevede due spettacoli e la presentazione del libro, dopo il debutto del 13 maggio.
Il primo è “Maria Pascoli, una storia segreta”, che debutta in prima nazionale in questa occasione.
Scrivere un testo teatrale su Maria e Ida Pascoli è stata, prima di tutto, una sfida accettata e portata avanti fra tanti dubbi e problemi che riguardavano da una parte la struttura stessa della composizione drammatica, dall’altra capire quale senso, nuovo o altro, poteva avere dopo quanto è stato scritto, detto, alluso su Giovanni Pascoli e sul quel particolare ménage à trois che ha visto i tre fratelli e sorelle convivere amorosamente per anni nella stessa casa fino al matrimonio di Ida, e poi Maria e Giovanni da soli fino alla morte del poeta. Nessun interesse mi spingeva ad un lavoro drammaturgico in questa direzione; nel monumentale libro scritto da Maria, Lungo la vita di Giovanni Pascoli, c’era già tutto: amori e morte, episodi minuti ed eventi grandiosi, incontri effimeri e colloqui con uomini straordinari, una ricchezza di aneddoti accecante, una storia con un unico personaggio imponente e per tanti versi inquietante, tenuto insieme da un solo punto di vista, quello di Maria, che ogni cosa mette in ordine e regola secondo il suo comune e arguto sentire. Ma, ad un certo punto, seppure affascinato dalle suggestioni presenti in quell’infinito racconto, ho trovato all’improvviso uno “spazio drammaturgico” libero, aperto: in quel tempo di nessuno quando, distrutto in un incendio il primo manoscritto di Lungo la vita… Maria decide di riscrivere tutto da capo il libro a cui aveva dedicato la sua vita. Ed è proprio questo preciso momento, particolare ed eccezionale, della sua esistenza che, da un punto di vista strettamente teatrale e drammaturgico, mi ha completamente catturato e sedotto: quel vuoto, quell’assenza di memorie era lì pronto, disponibile ad essere riempito di parole nuove, certamente mai pronunciate, ma possibili e vere perché scaturite, seppur diverse, da quella stessa fonte che, per prima, le stava generando. (Giuseppe Liotta)
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16-18 maggio
“Marilyn, 5 agosto”
di Gregorio Scalise
con Martina Valentiniregia di Giuseppe Liotta
assistente alla regia e fonica Eloisa Mineccia
luci Cesare Da Rocha Pinto
organizzazione Elena Bastia
produzione Compagnia teatrale Trame Perdute
Teatri di Vita dedica una settimana al lavoro pluridecennale della compagnia Trame Perdute, basata a Bologna, e del suo direttore Giuseppe Liotta, drammaturgo, critico teatrale, docente universitario. Un omaggio che cade in concomitanza dell’uscita del volume che raccoglie le recensioni dello stesso Liotta: “Il diavolo e la bellezza. Trent’anni di critica teatrale (1968-1998)” (TramePerdute Edizioni, 2014). L’omaggio prevede due spettacoli e la presentazione del libro, dopo il debutto del 13 maggio.
Il secondo è “Marilyn, 5 agosto”.
Si tratta di un monologo dove la celebre attrice, a 50 anni dalla sua scomparsa, rievoca le parti salienti della sua esistenza. Il luogo è quella stanza della sua ultima notte, a Breentwood (California). Quella data, 1962, racchiude simbolicamente un’epoca negli Stati Uniti d’America e forse anche nel mondo occidentale, e ne definisce i limiti.
Marilyn, 5 agosto di Gregorio Scalise coglie il personaggio della Monroe nell’ultima fatale notte della sua vita quando viene trovata morta da un Sergente della polizia di Los Angeles; ed è a lui che consegna i suoi ricordi. Si ripercorrono così i momenti felici e drammatici del mito erotico più persistente nell’immaginario, non solo cinematografico, di tutta la seconda metà del secolo scorso.
Nel suo monologo/confessione Marilyn Monroe evoca le figure più importanti della sua vita, da Arthur Miller a Joe Di Maggio a Lee Strasberg, ai fratelli Kennedy. La sua memoria si sofferma anche su alcune sequenze dei film che la videro straordinaria protagonista. Così dal soliloquio si passa presto ad una ricchezza quasi dialogica dei pensieri e dei gesti con altre presenze, invocate, subite, amate: soprattutto con Norma Jean, l’altra Marilyn, che interrompono il flusso di coscienza di una donna semplice divenuta, forse suo malgrado, un mito, e riempiono lo spazio drammaturgico di una teatralità sospesa fra un piano dell’immaginario e la realtà fisica e concreta del palcoscenico.