Perennemente in bilico fra Ia spettacolarità del musical e la passione per la maschera e il teatro en travesti, il regista italo argentino Alfredo Arias ha trovato nel Circo Equestre Sgueglia di Raffaele Viviani un testo a lui perfettamente congeniale.
Perennemente in bilico fra Ia spettacolarità del musical e la passione per la maschera e il teatro en travesti, il regista italo argentino Alfredo Arias ha trovato nel Circo Equestre Sgueglia di Raffaele Viviani un testo a lui perfettamente congeniale.
Un po’ Charlot, un po’ Pagliacci, un po’ Freaks, un po’ Almodovar il Circo equestre Sgueglia riletto da Arias (in scena al Teatro Argentina di Roma) si muove con misurata leggerezza fra il realismo feroce e la freschezza espressiva senza dimenticare mai la vera e propria aria di malinconia diffusa che domina il testo. Sullo sfondo di una piazza Mercato di Napoli un po’ evanescente, lo spettacolo presenta un campionario diverso di umanità di artisti, ma sempre con la consapevolezza che fra il falso scintillio di lustrini e paillettes (bellissimi i costumi di Maurizio Millenotti) la vita del circo è fatta anche di privazioni e umiliazioni ed è vissuta da uomini e donne che sotto il trucco nascondono drammi e sentimenti reali.
La storia patetica, un po’ tenera e un po’ folle, intreccia le vicende del clown Samuele (strepitosa la maschera dolente di Massimiliano Gallo) che non si accorge neppure che l’avvenente moglie, la trapezista Giannina (Giovanna Giuliani) lo tradisce con il toscano Giannetto (Carmine Borrino).
Donna Zenobia, anima pura (Monica Nappo) e buona è a sua volta tradita dal marito, il vanesio Roberto (Lino Musella) che finirà per rovinare anche la giovane e sensuale amante Nicolina (Lorena Cacciatore).
Arias effettua qualche intervento sul testo di Viviani e inserisce il Narratore, Mauro Gioia, in frac e cilindro, un po’ decadente in salsa belle époque, a presentare al pubblico la storia nella quale svolge ruolo essenziale la partitura musicale scritta da Viviani e suonata dal vivo dalla buca teatrale e proposta nei vivaci malinconici arrangiamenti di Pasquale Catalano (Giuseppe Burgarella al pianoforte, Gianni Minale ai fiati, Alberto Toccaceli alle percussioni, Marco Vidino alle chitarre e mandolino).
Il regista argentino Alfredo Arias dosa un certo umorismo parodistico fatto di musica e dialoghi serrati e riesce a restituire la malinconia, ma anche la precarietà economica ed emotiva dei personaggi un po’ patetici, la semplicità e la tenerezza dei loro sentimenti che finisce per coinvolgerci nonostante una certa prevedibilità nello sviluppo di un testo scritto nel 1922 che risente di un certo pessimismo, ma senza rinunciare ancora alla speranza di una ritrovata vitalità con la consapevolezza che nelle vita non ci sono sconti. “Viviani ci trascina in un doppio gioco – dice Arias – Un gioco che noi dobbiamo immaginare – quello della rappresentazione circense – e uno al quale assistiamo – quello della vita. Sceglie di mettere in evidenza le lacerazioni amorose. Ci dice che non esiste rifugio possibile: anche il circo, concepito come un ultimo riparo, è esposto alla vertigine della passione e i suoi abitanti possono esserne espulsi in qualsiasi momento per sprofondare nella più grande delle solitudini”. In scena al Teatro Argentina di Roma fino al 23 marzo.