Dopo aver subito le provocazioni di “famosi” registi, una flebo di allegria, di felice spensieratezza, ci era dovuta. Ed ecco, alla bisogna, venirci in aiuto Tato Russo che decide di portare in scena al Teatro Carcano il doppio ruolo dei gemelli in Menecmi. L’idea dei gemelli e di tutto quanto ci gira attorno non è certo nuova. Ricordiamo “La commedia degli errori” di W. Shakespeare che ha dato dignità letteraria ad un canovaccio tratto dai Menecmi di Plauto. Cosa inventa allora questo bravissimo artista napoletano? Mette nel frullatore le due commedie e ne ricava un mix gustoso, insaporito con l’arte comica partenopea. La commedia narra in chiave comica e surreale le vicende di due gemelli uno dei quali in tenera età, nel corso di un viaggio col padre, viene smarrito in un mercato e non più ritrovato. In realtà il gemello scomparso (che viene chiamato Menecmi come il fratello), cresciuto da una famiglia di Capua, dopo molti anni parte per Napoli con il suo servo alla ricerca del fratello. Napoli è una città piena di statue mozze, di colonne cadute, di ruderi materiali e morali (metafora della Napoli d’oggi). E qui comincia una incredibile esilarante serie di equivoci, di scambio di persona, di fraintendimenti che coinvolgono i gemelli (Menecmi di Napoli avvocato e marito libertino e l’omonimo di Capua, ignorante e astuto, che sta al gioco inconsapevole della doppia identità), servitori, mogli, amanti e prostitute. Tato Russo, mattatore e trasformista, nel caratterizzare i due gemelli cambia l’abito, l’accento, le tonalità a seconda del Menecmi di turno e si esprime attraverso un linguaggio teatrale perfetto nei ritmi, nella comicità delle situazione e dei dialoghi, nelle piacevolissime sonorità del l’accento napoletano, nei (prevedibili) molteplici colpi di scena. La sua è una comicità popolare, di pancia che gioca sulla doppia identità, sullo scambio di persona, sulla passionalità carnale dei (del) personaggi esibita senza freni culturali, ma senza cadere nella volgarità. La sessualità infatti al tempo dei romani era vissuta senza esclusioni, il “carpe diem” di Orazio era incondizionato (sarà più tardi la Chiesa a mettere paletti sessuofobici). Di grande comicità i lazzi e i dialoghi fra i gemelli e i rispettivi servitori. La vicenda si chiude con l’arrivo del vecchio padre vanesio e puttaniere che abbraccia il figlio ritrovato ed è a questo punto che Tato Russo si rivolge direttamente al pubblico per giustificare la mancanza in scena dell’altro Menecmi. Russo non ci fa mancare niente, oltre alle situazioni comiche, ci sono anche danze, maschere e nude vestali dell’Eros. Questo stilema plautino anticipa di molti secoli quella che verrà chiamata la “Commedia dell’Arte”.Oltre allo straordinario Tato Russo tutti gli attori meritano un lungo applauso: Rino Di Martino e Massimo Sorrentino nella parte dei due servitori che fanno stupendamente da “spalla”, Marina Lorenzi in quella della moglie, Clelia Rondinella nel ruolo dell’amante/puttana, Renato De Rienzo del padre, Antonio Rampino il cuoco femminiello, e ancora Davide Sacco e le ancelle prostitute Eva Sabelli, Giorgia Guerra, Olivia Cordsen, Ashai Lombardo Arop. Belle le invenzioni sceniche di Tony Di Ronza, i costumi di Giusi Giustino, funzionali le musiche di Zeno Craig, i movimenti coreografici di Aurelio Gatti e il disegno luci di Roger LaFontaine. Se i tempi, il meccanismo comico funziona alla perfezione, il merito va anche riconosciuto al regista Livio Galassi.