Di questo Riccardo Terzo se ne parlerà bene o male, ma non passerà inosservato. La realizzazione poetica della realtà umana che Shakespeare ci racconta esige mezzi espressivi tipici della tragedia, mezzi che Vitaliano Trevisan nella traduzione e nell’adattamento contamina con il grottesco e venature di comico. Ne esce un ottimo prodotto dal gusto ironico che muove il riso senza rallegrare. E, spiega lo stesso drammaturgo, «un Riccardo gigantesco, fuori scala rispetto agli altri attori in scena, costretto a chinarsi per potersi specchiare, per passare da una porta». Dunque un personaggio bizzarramente deforme, goffo, innaturale, appesantito da un trucco volutamente eccessivo che ne caratterizza l’aspetto grottesco. Alessandro Gassmann enfatizza il personaggio digrignando i denti e muovendosi in modo disarticolato, veste un lungo pastrano militare e scarponi con alte zeppe. La sua statura imponente è l’espressione plastica del potere assoluto caratterizzato dalla malvagità e dalla follia omicida. Lo svolgimento della tragedia è contrassegnato dal delitto, dall’inganno, dal tradimento. Per salire al trono d’Inghilterra lo spietato, cinico duca di Gloucester uccide il fratello Edoardo successore al trono, sorte che infliggerà anche alla moglie Anna. Vittima della sua perversa malvagità e della brama di potere farà poi uccidere da un sicario l’altro fratello maggiore Giorgio e successivamente anche entrambi i figli di Edoardo, successori legittimi al trono. Alla morte del padre Edoardo IV si presenta come uomo mite e modesto e, con falsa riluttanza (imperdibili sequenze comiche) cede alle insistenze del sindaco di Londra e accetta l’incoronazione e per rinsaldare il suo trono obbliga la nipote Elisabetta (promessa sposa al giovane rivale conte di Richmond) a sposarlo. La serie di crimini continua ancora con l’assassinio del vecchio sodale, duca di Buckingham che, resipiscente, si schiera con Richmond il quale col suo esercito sta marciando verso lo scontro finale. Ma la notte prima a Riccardo compaiono in sogno gli spettri di tutte le sue vittime che gli predicono la sconfitta e quindi la fine. Perirà sul campo di battaglia urlando la celebre frase: “Un cavallo, un cavallo, il mio regno per un cavallo”. E’ la fine della personificazione di un male assoluto dotato di fascino e sprazzi di humour. Alessandro Gassmann vince la sfida ed esce meritatamente e definitivamente dall’ombra ingombrante del padre. Grande interpretazione la sua che si afferma come regista e, last but not least, come ideatore delle fantastiche scene realizzate poi dallo scenografo Gianluca Amodio. Fantastiche nel senso di fantasia, creatività, eleganza formale, ritmo. Gli effetti olografici o di parallasse (illusione di tridimensionalità), la microfonatura a livelli sensoriali diversi, i suoni, le luci, i costumi di Mariano Tufano (classici e trash), le proiezioni video di Marco Schiavoni, le musiche originali di Pivio & Aldo De Scalzi hanno una loro funzionalità interpretativa e sono determinanti nel creare le atmosfere di gotica magia che riescono a coinvolgere ed entusiasmare lo spettatore. Lo spettacolo si conclude con una immagine che crea emozione: la presentazione cinematografica dei titoli di coda con i nomi degli attori che si sfaldano e, come fiocchi di neve, cadono leggeri sul palcoscenico. Suggestiva infine la venuta alla ribalta di Gassmann sulle note Brothers in Armsde dei Dire Straits. Meritano un sincero applauso anche tutti gli altri attori: Manrico Gammarota (James Tyrrel), Sergio Meogrossi (duca di Bucchingam),Marco Cavicchioli (duca di Clarence e Lord Hasting), Mauro Marino (regina Margherita e re Edoardo), Sabrina Knaflitz (lady Anna), Emanuele Maria Basso (conte di Richmond e il sindaco), Giacomo Rosselli (conte di Rivers), Marta Richeldi (regina Elisabetta) e Paila Pavese (duchessa di York).