Scritta una ventina di anni fa da Andrew Bovell (Kalgoorlie/Australia occidentale, 1962), il più famoso scrittore australiano che lavora per televisione, teatro e cinema, Speaking in Tongues racconta le sottili, delicate, intense e spesso intricate trame e corrispondenze che si creano nei rapporti di coppia sviscerati nelle più caleidoscopiche sfumature emozionali: un appassionante scavo nella psiche e nelle psicologie dei caratteri.
L’opera che sia nella versione teatrale sia in quella cinematografica ha avuto un successo travolgente meritando anche prestigiosi premi e riconoscimenti arriva per la prima volta in Italia al Teatro Libero di Milano.
Il difficile compito di interpretare il complesso testo, ancorché apparentemente semplice almeno nella prima parte, è affidato a Laura Anzani, Nicola Caruso, Giacomo Rabbi e Margherita Remotti, quattro validi e duttili attori capaci di interpretare più ruoli e diretti dalla sapiente regia di Michael Rodgers.
Non è in verità facile lavorare in contemporanea gomito a gomito come nella scena iniziale simulando di essere due coppie occasionali che in diverse camere di squallidi alberghetti provano a cavalcare l’avventura del tradimento coniugale gravate da sensi di colpa che fanno sì che il coniuge offeso diventi un fantasma prepotentemente presente e per la similarità delle situazioni pronunciare le stesse parole. Interessante e perspicace evidenziazione dell’odierno imbarbarimento culturale e dell’impoverimento del linguaggio dettato da una scuola più tollerante e meno educativa e dal trionfo dei nuovi mezzi tecnologici che richiedono frasi brevi, concise, essenziali per non perdere tempo…
Il problema di sempre – e non solo dell’oggi connotato da un vorticoso correre non si sa verso cosa che non sia a sua volta transeunte ed effimero – sta, però, nell’incapacità delle coppie reali (ma anche di amici, colleghi…) di parlare e comunicare anche infelicità, insoddisfazioni, dolori, frustrazioni, aspirazioni, speranze… cercando al di fuori un quid indefinito senza vedere o capire che si tratta di una problematica interiore o meglio di una solitudine dettata da mancanza di sicurezza in se stessi.
Nessuna meraviglia allora che il destino possa diventare artefice di incroci a chiasmo solo apparentemente garanti di una segretezza che in un attimo può svanire: forza e beffa di quel fato che secondo gli antichi Greci dominava persino gli Dei!
Nel secondo atto il drammaturgo si diverte a tenere viva l’attenzione del pubblico tingendo la pièce di sfumature giallo nere, complicando la situazione e i personaggi che si moltiplicano intersecandosi vicendevolmente pur rimanendo gli stessi quattro attori: uno spettacolo da guardare con estrema attenzione per vedervi riflessi noi stessi.