di e con Aldo Rapè
regia Nicola Veroproduzione PrimaQuinta Teatro
Sospeso “Ad un passo dal cielo”, Aldo Rapè, autore ed interprete eccezionale, racconta una storia come troppe se ne sentono. Una storia che prende i connotati di una favola per bambini disillusi, che hanno perso la loro infanzia, che se la sono vista strappata via, senza pietà.
La luce così come il silenzio sono altri protagonisti essenziali della scena.
Luci che danno calore o freddezza alla narrazione, luci che spariscono lasciando tutti nel buio più totale, nello smarrimento, quasi si creasse una rottura tra la vita che è sempre stata e la vita come si presenta adesso, dopo una strage. Il silenzio è l’unica voce che meglio interpreta il grido interiore di questo bambino ormai adulto, che si aggrappa con tutte le sue forze al suo amico burattino, alla sua infanzia rubata deturpata e immobilizzata, paralizzata.
I suoi tentativi di scendere da quella struttura di legno, con cui gioca e che lo mantiene a metà tra il cielo e la terra, sono i tentativi di un uomo che deve crescere, deve vivere, nonostante il suo cuore sia rimasto “in pausa”.
Il rapporto che Aldo Rapè riesce a creare con il pubblico, è confidenziale, un rapporto spontaneo, come tutti i bambini sanno creare con gli sconosciuti.
Il suo siciliano così nitido e semplice riesce a farci entrare con la mente in quella terra, così lontana, non per geografia, ma per incomprensione.
Una terra che ha visto scomparire i volti di molte persone perché, come un gioco perverso, erano caduti nella trappola del mostro invisibile, con i tentacoli che tutto raggiungono, e il loro destino era quello di essere eliminati dal gioco.
Volti di persone che, per vendette trasversali o perché in prima persona hanno combattuto contro quel mostro, giocano a nascondino con Calogero che ormai trentenne, grida “W la mafia”, che lo ha portato a non credere più alle favole.
Aldo Rapè, con grande maestria, prende possesso del palco e riesce a dare una forma fisica ed espressiva ai sentimenti e ai vuoti interiori di questo adulto/bambino, che vestito in salopette, ci permette di riflettere in un climax narrativo che piano piano rivela la sua storia e la storia di tanti come lui.
Il testo poetico è straordinariamente efficace nel riuscire a mettere in contatto il pubblico con l’animo fragile e paralizzato di Calogero, che sembra decidere di crescere quando accende un sigaro e lo fuma con la postura di adulto, ma poi lo spegne come le candele del suo compleanno mai festeggiato.
Nelle favole ci sono i buoni e i cattivi, ma le favole finiscono sempre bene.
Nella favola di Calogero ci sono i buoni e i cattivi, ma i cattivi hanno vinto e spesso anche i buoni passano dalla parte dei cattivi.