“Prendete in mano la vostra vita e fatene un capolavoro”
A pochi giorni dall’evento mediatico della canonizzazione di Giovanni Paolo II, il papa dei giovani che gremiranno ancora una volta piazza san Pietro stretti nell’abbraccio del colonnato del Bernini, è approdato a Roma, dopo la prima mondiale al Teatro Slowacki di Cracovia, lo spettacolo “Karol Wojtyla. La vera storia”, colossal in opera musical.
Con alle spalle il ponte Sant’Angelo sovrastato dal Cupolone, monsignor Stanislaw Dziwisz, il devoto segretario personale, esprime con la voce potente di Matteo Macchioni l’apprensione della città e del mondo per il pontefice gravemente ferito nell’attentato del 13 maggio 1981, durante l’udienza generale sul sagrato della Basilica.
Si susseguono, quindi, attraverso vai flashback, i momenti significativi del giovane “Lolek” vissuti in famiglia e tra la gioventù di Wadowice “da dove tutto ebbe inizio”, secondo le parole dello stesso pontefice.
Una biografia che non ha zone d’ombra, rivisitata attraverso un linguaggio scenico che si avvale di due tecnologie utilizzate per la prima volta in un’opera teatrale: un fondale di specchi inclinati e gli olomonitor, oltre alle proiezioni filmiche, che l’eclettico regista Duccio Forzano amalgama con effetti stupefacenti, rendendo reale e commovente tutto il racconto.
In un percorso a ritroso, prendono vita sulla scena i familiari: il padre Karol severa ed affettuosa guida della sua crescita interiore, interpretato con fisica verosimiglianza da Simone Pieroni, la dolce madre Emilia (Lisa Angelillo) teneramente amata e struggentemente rimpianta per la morte prematura, il protettivo ed eroico fratello Edmund cui presta la voce Roberto Rossetti. La visione laica e umana dell’opera racconta le difficoltà familiari e sociali, la perdita della figura materna, l’addio del fratello che si avvia a diventare medico, il trasferimento a Cracovia insieme al padre, la passione per il teatro espressa nel circolo teatrale Studio 39 e l’amore per la poesia, l’amicizia incorruttibile con l’ebreo Jurek (Jacopo Bruno), il lavoro in miniera, gli studi, l’amore per la natura, la spiccata spiritualità, la vocazione sacerdotale, la nomina ad Arcivescovo di Cracovia, l’opposizione al regime comunista, la partecipazione al Concilio Vaticano II, l’elezione al soglio pontificio nel 1978, l’attentato che riporta la vicenda al tempo presente del racconto.
La vita di un uomo che ha cambiato il mondo è rievocata con l’ausilio di tecniche che stravolgono la rappresentazione teatrale musicale, con un connubio di mezzi espressivi mutuati dal cinema e dalla televisione. Questi espedienti tecnici rendono l’opera corale dando la sensazione di una moltitudine di presenze ma, nello stesso tempo, ne frammentano il ritmo indulgendo in qualche lentezza. Un’operazione pretenziosa che, forse, un po’ disorienta.
I testi di Donatella Damato, Gaetano Stella e Patrizia Barsotti sono poetici con qualche cedimento alla retorica. Le coreografie di Tuccio Rigano sono efficaci nel rappresentare gli umori e la moda (con i costumi di Marta Sabato) della gioventù di Cracovia degli anni ’40 all’interno della scenografia di Nicola Cattaneo e delle videoscenografie di Giuseppe Ragazzini. Suggestive le musiche originali ed inedite composte da Noa con Gil Dor e il quartetto d’archi Solis String Quartet che hanno prodotto 34 brani, tra cui l’emozionante “The Star” che rievoca l’invasione della Polonia e l’inizio della seconda guerra mondiale. Gli interpreti bravi e verosimili nelle loro performance, con la voce strepitosa di Matteo Macchioni che funge da fil rouge narrante. Il piccolo Lolek è interpretato dal vivace Alessandro Bendinelli, sostituito nel ruolo adulto da Virgilio Brancaccio.