di Aldo Rapè
con Aldo Rapè e Marco Carlino
regia LAURO VERSARI
Una radio accesa, una brandina, scatoloni che arredano la casa e fanno da mobili, da sedute e da tavolino e pacchi di sigarette schiacciate a terra come al passaggio continuo e frenetico di un uomo, che di quella casa buia e scarna ne ha fatto il suo rifugio, la sua tomba.
La scena si apre e il pubblico entra nell’ambiente domestico di una persona isolata dal mondo, ma che di quel mondo ne deve far parte suo malgrado.
Un mondo disumano che gli ha rubato tutto e continua a rubargli senza pietà.
È la storia di due uomini di fede, Saro e Salvuccio. Due fratelli votati allo stesso Dio, obbligati a seguire le loro vocazioni, ma attraverso due strade contrapposte: il primo segue la mafia, il secondo la chiesa.
Aldo Rapè dimostra ancora una volta la sua eccellenza non solo come autore del testo teatrale ma anche come interprete passionale, deciso e capace di incarnare a pieno la disperazione di un personaggio complesso come quello di Saro, che ha dovuto lottare non per vivere ma per sopravvivere.
Lo stesso Marco Carlino riesce a dare personalità al parroco Salvuccio, che inizialmente appare mite e impostato ma piano piano si apre al suo ruolo di fratello minore, che ha dovuto guardare in silenzio, proprio come Saro e sempre in silenzio ha abbracciato la sua vocazione, rifugiandosi nella casa sicura della chiesa.
L’abito elegante di Saro, pronto per essere indossato, è appeso sullo sfondo, appena illuminato come fosse una presenza che incombe nella scena. È quella la divisa di un mafioso così come l’abito talare è la divisa di Salvuccio.
Il suono di un carillon irrompe nella scena illuminata da una luce soffusa, e sembra il pianto di due bambini che non vogliono ricordare.
Il confronto tra i due fratelli è reso ancora più drammatico da un crescendo di botta e risposta che lentamente introducono il pubblico nell’infanzia dei due protagonisti e poi nella loro scelta che li ha obbligati a prendere due strade diverse.
“Mutu, devi stare mutu” sembra un grido di battaglia che entrambi scelgono di fare proprio, ma di cui, poi, ne sono diventati prigionieri. Il silenzio è il destino che li accomuna, è come un’oscura presenza che li accompagna e li guida come un padre premuroso e corrotto, che nel potere trova la sua forza.
Due condizioni di vita che riflettono la realtà che li circonda, due vittime consapevoli di un male oscuro che rivela tutta la solitudine, che le loro scelte hanno determinato.