FILARMONICA DELLA SCALA
Direttore PHILIPPE JORDAN
Richard Strauss
Macbeth
poema sinfonico op. 23
Bruno Mantovani
Schlemihl
prima assoluta – commissione del Teatro alla Scala
insieme a:
NTR Zatertag Matinee, Dutch Radio 4’s concertseries al Concertgebouw Amsterdam;
Orchestre de Paris; Orchestre National de Belgique
Editions Henry Lemoine
Rappresentante per l’Italia Casa Ricordi, Milano
Richard Strauss
Ein Heldenleben
poema sinfonico op. 40
Francesco De Angelis, violino solista
Prezzi: da 73,00 a 5,00 euro
Infotel 02 72 00 37 44
PHILIPPE JORDAN
Attuale Direttore Musicale dell’Opéra National di Parigi e designato Direttore Principale dei Wiener Symphoniker da settembre 2014, a 38 anni si è confermato tra i più dotati direttori d’orchestra della sua generazione.
La sua educazione musicale è iniziata con lezioni di pianoforte all’età di 6 anni; a 8 è entrato nei Sängerknaben di Zurigo e a 11 ha intrapreso lo studio del violino. A 16 è entrato al Conservatorio di Zurigo, dove si è diplomato con lode come insegnante di pianoforte. Ha studiato teoria e composizione con il compositore svizzero Hans Ulrich Lehmann e ha proseguito gli studi pianistici con Karl Engel. Nello stesso tempo ha lavorato come assistente di Jeffrey Tate in occasione del Ring wagneriano al Théâtre du Châtelet di Parigi. Occasionalmente si esibisce come pianista in recital solistici e musica da camera.
La sua carriera è iniziata nel 1994-95 come ‘Kapellmeister’ allo Stadttheater di Ulm; dal 1998 al 2001 è stato assistente di Daniel Barenboim alla Deutsche Staatsoper Unter den Linden di Berlino; dal 2001 al 2004 è stato Direttore Principale dell’Opera e della Filarmonica di Graz. In questo periodo ha debuttato in importanti teatri d’opera e festival internazionali: Houston Grand Opera, Festival di Glyndebourne, Festival di Aix-en-Province, Metropolitan di New York, Covent Garden di Londra, Teatro alla Scala, Bayerische Staatsoper e Festival di Bayreuth (Parsifal di Wagner). Dal 2006 al 2010 è stato Direttore Ospite Principale della Staatsoper Unter den Linden.
In sede concertistica si è esibito con Berliner Philharmoniker, Wiener Philharmoniker, Berliner Staatskapelle, Wiener Symphoniker, ORF Radio-Symphonieorchester di Vienna, Orchestre Philharmonique de Radio France, Philharmonia Orchestra di Londra, Accademia Nazionale di Santa Cecilia di Roma, Orchestre de la Suisse Romande, Tonhalle di Zurigo, Chamber Orchestra of Europe, Mahler Chamber Orchestra, Gustav Mahler Youth Orchestra, NDR Sinfonieorchester di Amburgo, Deutsches Symphonie-Orchester di Berlino, Orchestra del Mozarteum di Salisburgo, Orchestra Filarmonica di Rotterdam e Münchner Philharmoniker. In Nord America ha lavorato con le Orchestre di Seattle, Saint Louis, Dallas, Detroit, Chicago, Cleveland, Philadelphia, Washington, Minnesota, Montreal, New York e San Francisco.
Nel 2011 ha diretto al Teatro alla Scala Der Rosenkavalier di Richard Strauss, oltre a concerti con Wiener Philharmoniker, Philharmonia Orchestra di Londra e Orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia.
Nella stagione 2013-14 ha effettuato una tournée con la Gustav Mahler Youth Orchestra che ha incluso un’esecuzione concertistica del Rienzi di Wagner al Festival di Salisburgo. Sono seguite nuove produzione dell’Aida di Verdi e dell’Elektra di R. Strauss.
Ha registrato Carmen di Bizet (Festival di Glyndebourne), Werther di Massenet (Staatsoper di Vienna), Doktor Faust di Busoni (Opera di Zurigo), Salome di R. Strauss (Covent Garden), Tannhäuser di Wagner (Baden-Baden), Le nozze di Figaro di Mozart (Opéra National di Parigi), e Pelléas et Mélisande di Debussy (Opéra National di Parigi) che ha meritato il Premio ‘Choc de l’Année’. Ha pure registrato l’‘integrale’ dei Concerti per pianoforte di Beethoven con François-Frédéric Guy e l’Orchestre Philharmonique de Radio France e l’Alpensymphonie di R. Strauss con l’Opéra National di Parigi, pure premiata con ‘Choc de l’Année’. Anche Le sacre du printemps di Stravinskij ha ricevuto ancora uno ‘Choc de l’Année’. Di recente ha registrato due album, dedicati rispettivamente al Requiem di Verdi e a brani scelti dal Ring di Wagner, entrambi con l’Orchestra dell’Opéra National di Parigi.
Richard Strauss
MACBETH, poema sinfonico per grande orchestra dal dramma di Shakespeare, op. 23
Macbeth è il primo poema sinfonico di Richard Strauss, nonché l’accostamento pressoché unico al teatro di Shakespeare. Lo spunto nacque dalla visione dell’omonima tragedia a Meiningen, presso il cui teatro granducale il ventenne Strauss aveva la responsabilità dei programmi musicali e nella cui orchestra conobbe il violinista e compositore Alexander Ritter: questi era l’alfiere del nuovo genere di musica a programma nell’accezione di Liszt, secondo cui la forma musicale doveva essere modellata sul contenuto, e non viceversa. Strauss prese quella via, pur non buttando alle ortiche la sua esperienza nelle forme classiche, tanto che queste permasero in molti poemi successivi. Eppure Macbeth fu per Strauss il terreno nuovo e ardito in cui l’idea poetica genera la sostanza musicale, al punto che non venne capito: fino a tutt’oggi Macbeth è la sua pagina sinfonica negletta. Quando fu pronta, nel gennaio 1888, Strauss la presentò al suo mentore Hans von Bülow, autorità direttoriale in ambito wagneriano e brahmsiano, il quale rimase tuttavia contrariato dall’uso del cromatismo, dalle dissonanze e dal fatto che il poema terminasse con una marcia trionfale per Macduff, laddove il protagonista era Macbeth. Strauss, pur sapendo che Macduff mette fine al potere sanguinario di Macbeth, tagliò subito via quelle pagine, regalandole in anni seguenti a vari amici, tanto che la prima versione non è ricostruibile. Ma neppure la seconda, poi eseguita a Weimar nel 1890, soddisfece l’autore, che rimise mano alla veste strumentale l’anno dopo, finché Macbeth venne battezzato di nuovo da Strauss, in terza versione, nel 1892 sul podio della Filarmonica di Berlino.
La difficoltà cui è andato incontro il Macbeth straussiano sta probabilmente nel fatto che è una forma-sonata apparente, dove a un’ampia esposizione segue lo sviluppo dei temi, ma non la loro ripresa testuale. Era proprio questa la novità di Strauss, la forma modellata dal contenuto: la tragedia avanza e non può finire com’è iniziata, così lo sviluppo diviene il luogo in cui il dramma procede, con la sottigliezza per cui i temi esprimono diversi aspetti di Macbeth e di Lady Macbeth e nella loro alternanza mimano il dialogo e poi l’azione. L’attacco del poema sinfonico cita l’esordio della Nona Sinfonia di Beethoven, che genera però un motivo nuovo di stampo eroico seguito da una pausa. Sembrerebbe quasi che Strauss prenda congedo dal sinfonismo ottocentesco, tracci un solco e prosegua con i temi del suo poema sinfonico. In realtà il motivo non è in funzione introduttiva o di svolta: torna sempre denotando il carattere eroico del protagonista, cui sono ascritti più temi. Subito dopo, infatti, Strauss annota in partitura il nome “Macbeth” in corrispondenza di due melodie sovrapposte, una ai violini e ai legni con ritmo puntato e abnorme salto di dodicesima ascendente, l’altra ai corni per note congiunte, dal profilo icastico. Ciò identifica il personaggio Macbeth, ma il tormento del suo agire è rappresentato da un altro tema esposto poco dopo, una melodia che sale e scende per gradi cromatici dagli strumenti gravi e tornerà con insistenza lungo lo sviluppo. Lady Macbeth fa il suo ingresso con una melodia subdola di flauti e clarinetti: Strauss vi associa esplicitamente i versi shakespeariani tratti dalla scena della lettera. Ma siccome l’agire di Macbeth è determinato dalle lusinghe e dalla pressione della Lady, il compositore le affida sia un altro tema, cantabile ai violini, sia una versione più espressiva di quello subdolo, che diviene insistente sino alla furia. In base di tali principi Strauss elabora la materia drammatica, la quale prevede in Shakespeare l’assassinio del re Duncan (il cui corteo giunge in Strauss a ritmo di marcia) e di Banquo. Lo sviluppo vive pertanto di due grandi climax, che vanno a esplodere entrambe in accordi dissonanti in fortissimo, staffilate o mazzate dell’orchestra che quasi mimano i due assassinii. Dopo non resta che la spossatezza di Macbeth giunto alla fine, con squilli di musica militare in lontananza, annunciante l’esercito salvifico che avanza.
Giangiorgio Satragni
dal programma di sala del Teatro alla Scala
Richard Strauss
EIN HELDENLEBEN, poema sinfonico per grande orchestra op. 40
Nel 1898, l’anno in cui avrebbe offerto per mezzo di Ein Heldenleben (Una vita d’eroe) un proprio autoritratto musicale o – per alcuni – il passaggio dall’eroismo al nichilismo del ritiro dal mondo, Strauss si trasferì a Berlino in qualità di primo Kapellmeister al Teatro di corte, inaugurando un lungo e fortunato periodo. Oltre alla gloria egli trovò nella capitale prussiana nuovi nemici, ispiratori della feroce caricatura e sconfitti, oltre che nella vita reale, nella battaglia sonora di Heldenleben. Similmente ad altri casi, però, Strauss non associò in modo evidente al poema sinfonico un programma letterario. Durante la gestazione comunicò agli amici di star componendo la propria “Sinfonia Eroica”, laddove il parallelo con Beethoven stava nel titolo, nel canone di “grandezza” e nella tonalità di mi bemolle maggiore. Quanto a eventuali spunti letterari, nessuna parola. Strauss non voleva che l’idea esterna generatrice della forma distogliesse l’attenzione dalla forma stessa, articolata come un’ampia e libera forma-sonata con esposizione, sviluppo e ripresa seguita da una lunga coda. Il contenuto, di cui non vi è traccia in partitura, emerse a cose fatte e ad ogni modo sul programma della prima esecuzione. Si leggeva che il poema sinfonico era modellato in sei episodi: L’eroe, Gli avversari dell’eroe, Il campo di battaglia dell’eroe, Le opere di pace dell’eroe, Fuga dell’eroe dal mondo e compimento del suo destino. Sarebbe restato da chiarire chi fosse l’eroe, ma questa era l’unica notizia scritta in partitura: nel quinto episodio, quello riferito alle opere di pace, Strauss mette insieme un florilegio di autocitazioni. Qui e in altri passi Ein Heldenleben, come in Don Quixote o Also sprach Zarathustra, non vive solo dell’esibizione di suono, ma anche di un gusto per il dettaglio che porta la grande orchestra a dimensioni di musica da camera.
La forma-sonata raggruppa i primi tre episodi del programma in un’ampia esposizione; fa del quarto (la battaglia) lo sviluppo, chiuso con la vittoria dalla ripresa del tema iniziale; riunisce nella coda le opere di pace e la fuga dell’eroe dal mondo. All’esordio l’eroe trova la sua espressione musicale nel tema di corni e violoncelli, all’unisono e dalla forte spinta ascensionale. Gli avversari, che hanno voce nei fiati soli, sono ironizzati con figurazioni affilate e puntute dei legni e con un inamovibile motivo delle due tube. L’ingresso del violino segna l’episodio della compagna dell’eroe, una delle tante manifestazioni del violino come presenza femminile in Strauss, qui dolce, sentimentale (così le didascalie), ma anche civettuola e capricciosa: la spigolosa moglie Pauline. Ne sboccia un momento altamente lirico, disturbato sul finire dal tema degli avversari e interrotto da squilli di tromba. Attacca così lo sviluppo, con lo scatenamento dell’orchestra su ritmo di battaglia, non solo del tamburo, ma anche dei legni, pronti a trasformarlo in un ritmo di vittoria quando l’eroe ha sconfitto i nemici. La ripresa netta del tema d’esordio avviene con una delle cadenze più compiaciute che la storia della musica annoveri. Le opere di pace – ovvero la prima parte della coda – sono aperte dal tema svettante dei corni proveniente da Don Juan, la prima delle autocitazioni elencate sul programma alla prima assoluta: le altre sono tratte da Also sprach Zarathustra, Tod und Verklärung, Don Quixote, Till Eulenspiegel, dall’opera Guntram, dal poema sinfonico Macbeth, dal Lied Traum durch die Dämmerung. La seconda parte della coda, il ritiro dell’eroe, è introdotta da una melodia pastorale del corno inglese, che nel Quixote indicava il ritiro dal mondo del protagonista. L’ultima parola spetta al violino ossia la compagna (Pauline) e al corno, ovvero l’eroe (Richard). Poi, questo finale che Strauss riscrisse (l’originario si spegneva in pianissimo come dovrebbe essere il ritiro dell’eroe) prende da Zarathustra il tema della natura per una trionfale chiusura di fiati e percussioni: con ironia Strauss lo ribattezzò un «funerale di stato».
Giangiorgio Satragni
dal programma di sala del Teatro alla Scala
SCHLEMIHL di Bruno Mantovani
Nella sua carriera di compositore, Bruno Mantovani ha affrontato generi diversi, ma sempre con un’evidente predilezione per l’orchestra, affermando, sin dagli esordi, uno stile molto personale, caratterizzato dall’immediatezza della scrittura, priva di artifici e manierismi, dalla semplicità delle forme, da un sicuro istinto drammatico. Allievo di Guy Reibel al Conservatorio di Parigi, e poi di Brian Ferneyhough e Michael Jarrell, perfezionatosi all’Ircam, impostosi sulla scena internazionale nel 1999, quando Peter Eötvös lo ha invitato come composer-in-residence a Herrenhaus-Edenkoben, il compositore francese ha inizialmente concentrato la sua attenzione sui caratteri di vitalità ed energia ottenuti attraverso la semplice giustapposizione di materiali multipli e nettamente contrastati, come testimoniano Art d’écho e Turbulences, lavori per orchestra da camera nel 1998. A partire dal 2002, con la composizione di un lavoro per grande ensemble intitolato Le sette chiese (ispirato al celebre complesso architettonico bolognese), ha mirato a una più sottile articolazione delle strutture musicali, ricercando graduali transizioni tra elementi diversi, processi di accumulazione e di rarefazione della materia sonora, affinando molto le proprie strategie formali: «La forma è l’oggetto principale del mio lavoro. Non credo di essere molto innovatore sul piano del materiale. E a dire il vero non vedo chi potrebbe esserlo dopo Helmut Lachenmann. Penso che oggi ci si trovi di fronte a una sintesi dei linguaggi che abbiamo ereditato. La posta in gioco più importante è ridare una specie di logica drammaturgica alla nostra musica, e la forma ne è l’elemento costitutivo forte». Nelle corde del compositore c’è una forte propensione per la scrittura concertante («preferisco scrivere un concerto che una sinfonia»), testimoniata dai suoi numerosi lavori per strumento solista e orchestra. Ma un tratto saliente del suo linguaggio musicale sono anche i frequenti riferimenti alla musica del passato, come dimostrano i Six Pièces per grande orchestra (2003), che richiamano modelli schönberghiani, Time Stretch (2006), che usa le armonie cromatiche di un madrigale di Gesualdo da Venosa, Upon one note (2011), concepito come preludio alla Quarta Sinfonia di Beethoven.
Anche la sua nuova composizione per orchestra, commissionata dal Teatro alla Scala, fa esplicito riferimento a Richard Strauss e al ciclo straussiano nella quale è inserita. Si tratta infatti di un poema sinfonico basato su Peter Schlemihls wundersame Geschichte (Storia straordinaria di Peter Schlemihl), racconto fantastico di Adelbert von Chamisso, pubblicato nel 1814. La vicenda è quella di un giovane povero – Peter Schlemihl – in cerca di lavoro, che incontra un uomo (il demonio) al quale vende la sua ombra in cambio di una borsa magica, dalla quale è possibile estrarre infinite monete d’oro. Nonostante l’improvvisa ricchezza, resta un uomo solo, infelice, un “diverso” di cui tutti diffidano o si spaventano quando si accorgono che è privo della propria ombra. Dovrà scappare dalla città, rinunciare a sposare Mina, la donna che ama, donare la sua borsa al fido servitore Bendel, ritrovando alla fine la serenità nei viaggi e nello studio delle scienze naturali (come accaduto allo stesso scrittore).
Nel suo pezzo, Mantovani non segue però un percorso narrativo lineare, ma procede piuttosto per metafore, dando forma a una sorta di studio di carattere, di ritratto psicologico, sul modello dell’Hamlet di Liszt, che non racconta una storia, ma illustra la personalità del personaggio shakespeariano attraverso continui cambi di umore: «Non volevo scrivere un vero poema sinfonico, nel senso di un’opera senza parole. Non mi interessava descrivere i vari episodi del racconto di Chamisso, ma riprendere la contrapposizione tra povertà e ricchezza, l’idea di un percorso iniziatico di Schlemihl, illustrare, in maniera metaforica e sintetica, il rapporto tra individuo e società, e la solitudine del protagonista». Non ci sono dunque Leitmotive nella partitura di Mantovani, né tematici ne timbrici, ma l’interesse si concentra sui contrasti e sul loro significato simbolico: il contrasto tra la povertà e l’improvvisa ricchezza di Schlemihl è reso dall’alternanza di sezioni orchestrali scarne e altre dal carattere lussureggiante, molto straussiano; il contrasto tra la solitudine interiore del protagonista e la società che lo circonda si traduce in una impostazione concertante della scrittura orchestrale, che lascia affiorare frequenti assoli strumentali, soprattutto del clarinetto, che si impone, con la sua scrittura virtuosistica, sin dalle prime battute della partitura. L’orchestra ha lo stesso, vasto organico dello straussiano Ein Heldenleben e a Strauss rimandano anche alcuni brevi passaggi, come gli slanci ascendenti affidati ai corni e ai violoncelli (o alle viole) all’unisono, veri e propri archetipi straussiani, che ricordano l’attacco proprio di Ein Heldenleben o del Rosenkavalier.
Con questi elementi, Mantovani crea un raffinato gioco di incastri, combinando insieme fasce armoniche, disegni pulsanti, blocchi timbrici definiti sempre con estrema chiarezza, all’interno di una macroforma concepita come un processo di rallentamento, di graduale scarnificazione della trama orchestrale, che nella parte finale si fa sempre più frammentata: «Per me si tratta di una specie di metafora strutturale, suggerita proprio dal racconto di Chamisso, che può essere letto come la decomposizione psicologica di un personaggio: un personaggio normale, che conosce un exploit ma che poi diventa totalmente destrutturato. E questo avviene anche nella musica: più si va avanti nel pezzo, più si intensificano i tempi lenti, e più l’assenza di materia diventa l’elemento principale. La partitura, insomma, è una specie di “carta d’identità” musicale di Peter Schlemihl»
Gianluigi Mattietti
Questa composizione è certamente un poema sinfonico in rapporto a Strauss (l’organico orchestrale è quello di Ein Heldenleben) e l’argomento è il libro di Chamisso La strana storia di Peter Schlemihl. La narrazione non è lineare bensì metaforica (in tal senso il modello sarebbe semmai Hamlet di Franz Liszt). Infatti, il discorso è incerto fra esuberanza (simboleggiando l’infinita vicenda dell’eroe di Chamisso) e la rarefazione, l’aridità (il crescente vuoto psicologico dello stesso eroe). Anche se il linguaggio è attuale, dietro questo omaggio a Strauss ci sono alcune relazioni (l’uso dei corni, ad esempio) e soprattutto una drammaturgia fondata sul contrasto.
Strauss è un compositore che mi ha sempre ossessionato, in particolare per il suo edonismo orchestrale. Egli ha influenzato Edgar Varèse, il quale per me è un riferimento permanente. Ed è dalla opulenza sonora di questo compositore che io ho tratto parte dell’ispirazione di Schlemihl.
Bruno Mantovani
dal programma di sala del Teatro alla Scala
PROSSIMI APPUNTAMENTI DEL CICLO RICHARD STRAUSS
nel 150° anniversario della nascita
Lunedì 5 maggio 2014 ~ ore 20
FILARMONICA DELLA SCALA
Direttore RICCARDO CHAILLY
Richard Strauss
Tod und Verklärung
poema sinfonico op. 24
Wolfgang Rihm
Transitus
prima assoluta – commissione del Teatro alla Scala
Richard Strauss
Vier letzte Lieder
per soprano e orchestra
Anja Harteros, solista
Richard Strauss
Till Eulenspiegels lustige Streiche
poema sinfonico op. 28
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Sabato 14 giugno 2014 ~ ore 20
FILARMONICA DELLA SCALA
Direttore ESA-PEKKA SALONEN
Richard Strauss
Don Juan
poema sinfonico op. 20
Luca Francesconi
Dentro non ha Tempo
per grande orchestra
prima assoluta – commissione del Teatro alla Scala
Richard Strauss
Also sprach Zarathustra
poema sinfonico op. 30