Dici “Arancia Meccanica” e pensi subito al film capolavoro di Stanley Kubrick del 1971, pellicola tanto osannata quanto censurata (soltanto nel 1998 il divieto di visione ai minori fu abbassato dai 18 ai 14 anni e fu possibile trasmetterlo anche in televisione), considerato un capolavoro per molti, un tabù per la società degli anni ’70. La scommessa era portare la violenza “estetizzante” di Arancia Meccanica in uno spazio, come quello del teatro, che non conosce montaggio e non può contare sugli stratagemmi adottati al cinema. Scommessa vinta da Gabriele Russo che, basandosi sulla riduzione teatrale del romanzo di Anthony Burgess, scritta dallo stesso autore britannico dieci anni dopo l’uscita del film di Kubrick, ha confezionato uno spettacolo visionario, in cui la violenza è presente con canoni di “estetica” che dimenticano la pellicola di Kubrick e costituiscono il mondo dei drughi. La storia è arcinota. Il protagonista Alex (carismatica la performance di Daniele Russo), “un giovane, i cui principali interessi sono lo stupro, l’ultra-violenza e Beethoven”, insieme alla sua banda di drughi commette atti criminali sulle note del suo amato Ludovico Van. Atti di violenza che sul palco diventano bellissime scene oniriche e visionarie, quasi come se il pubblico fosse catapultato in un incubo senza fine. Si veda la scena dello stupro. La casa dello scrittore dove Alex e i suoi irrompono diventa un cubo bianco e futurista che cozza con il nero della scena e avanza coinvolgendo il pubblico. Tutto è rallentato, ogni pugno, ogni smorfia di dolore si imprime nella memoria degli astanti. Ma di quella violenza Alex ne risulta vittima a sua volta. Tradito dai compagni, viene condannato per omicidio e accetta di sottoporsi al progetto “Ludovico”, nato con l’ambizioso obiettivo di liberare il mondo dalla violenza. Ma si può imporre il bene ad un essere umano? Anche questa è violenza? Dimentichi del libero arbitrio, possono i membri del governo operare una violenza a loro volta ma di più sottile natura?
La violenza nella società, la deriva dei giovani, i governi tiranni, temi ancor più attuali oggi, e che Russo sceglie di affidare ad un universo di simboli. I drughi sono vestiti con eleganti smoking e pellicciotti, i membri del governo sembrano personaggi di una farsa, i vizi (vedi il latte mischiato con le droghe consumato dai drughi) irrompono prepotenti in scena, il linguaggio da slang giovanile, la violenza che diviene estetizzante con le musiche irriverenti di Morgan. Proprio la musica occupa un capitolo a parte. Presente fin dalle prime battute (talvolta con volume eccessivo che copre i dialoghi) accompagna l’incubo di Alex e scandisce le fasi di questo dramma che diviene quasi un musical tetro e coinvolgente. Un plauso al coraggio di Gabriele Russo.
di Anthony Burgess
regia Gabriele Russo
con Alfredo Angelici, Marco Mario de Notaris, Martina Galletta, Sebastiano Gavasso, Alessio Piazza, Daniele Russo, Paola Sambo
musiche Morgan
scene Roberto Crea
costumi Chiara Aversano
luci Salvatore Palladino
Info: www.teatrobellini.it