Dopo l’inno alla libertà con il Fidelio e la Nona nell’emozionante concerto della scorsa settimana, protagonista della stagione sinfonica di Santa Cecilia, è ancora una volta Beethoven, anche se stavolta è il Beethoven per eccellenza, il più celebrato e popolare. A Santa Cecilia va in scena il Beethoven eroico con un accattivante e popolarissimo programma: il Concerto per n. 5 per pianoforte e orchestra, detto l’Imperatore, e la Terza Sinfonia, l’Eroica, che regalano un prevedibile e meritato tutto esaurito in Sala Santa Cecilia.
Sul palco, oltre all’acclamata Orchestra romana, una bene assortita coppia di assi russi: sul podio il direttore Semyon Bychkov, ospite abituale delle Stagioni dell’Accademia, al pianoforte Kirill Gerstein al suo debutto romano.
E proprio Gerstein, tecnica prodigiosa, per il debutto a Santa Cecilia, ha scelto un approccio al Concerto (del 1809) non eccessivamente maestoso, mai cedendo troppo al titanismo del primo movimento, evitando sbavature (il rischio di eccessi è alto e dietro l’angolo), controllando la tenerezza e la grazia dell’Adagio e la genialità irruenta dell’Allegro. E in ogni momento l’Orchestra romana diretta da Bychkov gli ha brillantemente risposto con sollecitudine, ma con misura, eccezionale nell’Adagio. Applausi del pubblico, ma nessun bis da parte del pianista.
La seconda parte del concerto era dedicata invece alla Terza Sinfonia, molto amata dal pubblico: è proprio con la Terza, dedicata inizialmente a Napoleone Bonaparte (chiamata Sinfonia Bonaparte, titolo ritrattato dopo che il generale si autoproclamò imperatore) che Beethoven diventa Beethoven (siamo nel 1805), sovvertendo drasticamente le regole della composizione a cominciare proprio dalla dilatazione della durata.
E in cinquanta minuti, Bychkov, volto sorridente e sguardo rassicurante, ha proposto una personalissima, gaudiosa versione della Terza, destreggiandosi abilmente nella direzione con la bacchetta o con le mani: vivace nell’Allegro, magnificamente controllato nell’Adagio assai (Marcia funebre), scoppiettante nello Scherzo, imprevedibile nel Finale, ma senza mai peccare o eccedere in maestosità o titanismo, mantenendo da un lato l’autorevolezza del gesto dei russi, ma temprandolo di una certa apprezzabile dolcezza.
Con un programma del genere la serata non poteva non essere un successo.