Attratti dalla drammaturgia contemporanea (vedi Arthur Miller, Alan Bennett fra gli ultimi lavori senza tralasciare Cechov o Shakespeare nel corso degli ultimi anni), Ferdinando Bruni ed Elio De Capitani, anima e cuore dell’Elfo Puccini di Milano, portano in scena al Teatro Argentina di Roma il loro nuovo spettacolo Frost/Nixon, tratto dal pluripremiato testo di Peter Morgan del 2006 (e che ha ispirato anche l’omonimo film di Ron Howard). Cuore dello spettacolo sono la serie di interviste tv che nel 1977 il giornalista e presentatore inglese David Frost (in cerca di nuova popolarità e nel tentativo di risalire la china) fece a Richard Nixon, presidente dimissionario dopo lo scandalo Watergate che alla fine, proprio davanti alle telecamere, si ritrovò ad ammettere una sua responsabilità effettiva nel tentativo di insabbiare la vicenda del Watergate.
Frost/Nixon è uno spettacolo avvincente che desta l’attenzione e suscita l’interesse per la dinamicità del linguaggio, l’incisività delle interpretazioni, la narrazione di raccordo spesso affidata a terzi, ma tutta la storia vive della preparazione delle interviste e del duello morale e verbale di David Frost-Ferdinando Bruni, fatuo e dandy, ma perseverante conduttore-giornalista inglese degli Anni Settanta e Richard Nixon-Elio De Capitani, già mimetico caimano nell’omonima pellicola di Nanni Moretti, misuratissimo e impassibile presidente.
Tutto lo spettacolo in realtà verte non solo sulle effettive interviste, ma anche sulla loro preparazione e sul duello morale e verbale di Frost-Nixon, che sembra essere quello di Davide e Golia e che incollò allo schermo milioni di telespettatori.
Nello spettacolo, che reinterpreta il duello fra Frost/Nixon quasi come fossero Davide e Golia e che incollò allo schermo milioni di telespettatori, è soprattutto la forza del linguaggio a travolgere tutto: sono sufficienti pochi, indispensabili elementi scenici a richiamare prima lo Studio della Casa Bianca (mirabile segnale dell’apoteosi e della discesa di Nixon) o la villa del Presidente in pensione, ma restano sempre in primo piano piccoli, numerosi schermi televisivi che ribadiscono l’autorità e la forza comunicativa del piccolo schermo enfatizzando a tratti diversi momenti della drammaturgia.
“La serie di interviste che Frost riuscì a ottenere da Nixon nel 1977 sono passate alla storia, non solo per lo scoop fenomenale della confessione, ma soprattutto per l’incredibile costruzione del progetto – spiegano Bruni e De Capitani – Non perché Frost fosse un coraggioso giornalista in cerca di verità storica, ma proprio perché era un uomo della TV di intrattenimento popolare. Infatti, tentò di vendere ai grossi network americani l’intervista, ma senza successo. Decise quindi di sborsare di tasca sua i 200.000 dollari inizialmente necessari. Per l’intervista chiese l’aiuto di tre colleghi: John Birt, Bob Zelnick e Jim Reston che sarebbero stati la sua arma segreta per inchiodare Nixon sulla questione Watergate. I grandi network non accettarono l’idea che un presentatore della Tv di intrattenimento potesse pretendere di sostituire i grandi giornalisti e commentatori politici, considerando deontologicamente scorretto pagare per ottenere un’intervista. Frost tenne duro sia sul fronte finanziario che sul fronte del duello con Nixon, un osso durissimo che vinse i primi undici round ma che fu messo KO da Frost solo negli ultimi minuti del dodicesimo. I network furono costretti a sborsare cifre da capogiro per aggiudicarsi la trasmissione che tenne incollati milioni di spettatori, intenti a scrutare il volto di Nixon fino alla non voluta confessione finale”.
In scena, davanti al titanismo della coppia Bruni-De Capitani, come semore registi a quattro mani, anche Luca Toracca, Nicola Stravalaci, Alejandro Bruni Ocaña, Andrea Germani, Matteo De Mojana, Claudia Coli.
Fa poi riflettere, e in modo inquietante, come i corsi e i ricorsi storici (e il legame fra politica e corruzione) posano ripetersi a distanza, in questo caso, di 40 anni. E anche questa è la missione del teatro politico di Bruni-De Capitani. In scena fino al 30 maggio al Teatro Argentina di Roma.