Alle ore 20.30 (prima dello spettacolo)
INCONTRO con Michele Abbondanza e Antonella Bertoni
Coordina Marinella Guatterini
Coreografia: Michele Abbondanza – Cura del riallestimento: Antonella Bertoni
Con: Eleonora Chiocchini e Francesco Pacelli
Musiche: J.S. Bach, G. Yared, S. Borè e musiche della tradizione popolare
Scene 1991: Lucio Diana – Luci: Carlo Meloni – Realizzazione costumi: Marta Griso – Direzione tecnica: Andrea Gentili
Produzione 1991: Drodesera /Centro Servizi Culturali Santa Chiara _ Produzione 2013: Compagnia Abbondanza Bertoni
Riallestimento. Progetto RIC.CI/Reconstruction Italian Contemporary Choreography Anni ‘80/ ‘90
Ideazione e direzione artistica Marinella Guatterini – Assistente alla direzione Myriam Dolce
In collaborazione con: Amat – Associazione Marchigiana Attività Teatrali, Arteven Circuito Teatrale Regionale Veneto – Città di Venezia – Assessorato alle Attività Culturali, Teatro Pubblico Pugliese
Coproduzione: Fondazione Teatro Grande di Brescia, Fondazione Fabbrica Europa, Fondazione Milano Teatro Scuola Paolo Grassi, Fondazione Ravenna Manifestazioni, Fondazione Teatro Comunale di Ferrara, Torinodanza
Con il sostegno di: MiBAC–Dipartimento Spettacolo / Provincia autonoma di Trento–Servizio attività culturali / Comune di Rovereto–Assessorato alla Contemporaneità / Regione autonoma Trentino Alto Adige / Cassa Rurale Folgaria–Filiale Rovereto / Centro Servizi Culturali Santa Chiara
Ringraziamenti: Atelier Marta Griso Ecomuseo del Lagorai e il gerlaio Fabio Cenci, Alessandro Pavone, Fabrizio Casetti
Durata: 75 minuti
Ricordo da piccolo, quando mio padre mi offriva certe arance arrivate dal sud e con orgoglio ostentava il fatto che avessero “i figli”: spicchi più piccoli gonfi di succo, attaccati ai grandi spicchi che formavano il frutto. Ricordo ancora quanto erano per me “speciali” quelle piccole parti, più preziose del tutto, tanto da apparire e quindi essere, più buone. Il piccolo si identificava col piccolo, cannibalizzandolo per acquisire quell’essenza speciale. Non so se quella “pappa reale” abbia avuto il suo effetto: allora era naturale condividere la realtà con una meravigliosa mole fantastica. Dopo i “lavori-scuola” con Carolina (Carlson) e quelli collettivi con Sosta Palmizi, di questo primo lavoro “in solitaria” ricordo proprio l’esplosione dell’immaginazione che sentivo poter espandersi intensamente come poi l’odore e il succo delle arance in scena, con gli eventuali figli e figlioletti al seguito. (…).
Michele Abbondanza
Terramara, lo spettacolo, è stato per me un po’ come “la prima volta” e rimetterlo in scena oggi mi ha fatto tendere e salire sulla punta dei piedi per non ferirlo stravolgendolo con gli occhi miei di adesso. Dal primo giorno è stato un vortice. Lo spazio scenico è stato un po’ spogliato e reso scarno, alla coreografia tolti alcuni lirismi a cui i nostri corpi di allora davano nascite e nascite, omaggi alla nostra Maestra. Ora Terramara conosce nuova vita, ri-danza nel nostro tempo. Osservo Eleonora e Francesco essere loro, in noi, nell’oggi presente il nostro passato; rincorrersi, guardarsi, prendersi, slanciarsi, sudare affaticati, con il respiro veloce che in quello spazio sembra fatto di cielo e di terra e il sentimento che mi accompagna è così vasto che non lo so dire.
Antonella Bertoni
Primo vagito di un duo-compagnia che avrebbe continuato a sondare nei modi più diversi il tema del rapporto con l’altro, Terramara con i suoi echi classici bachiani e il fitto intreccio di suggestioni musicali etniche, ungheresi, indiane, rumene e siciliane, fu un exploit più che riuscito. Una meravigliosa e promettente prima prova autoriale che nell’arco di un’ora sciorinava bravura, quasi virtuosistica (…) ma non certo e mai fine a se stessa, bensì delicatamente tesa a rinforzare i caratteri di una “mediterraneità” tutta nostra, esemplare e oggi da riscoprire. Nato come riflessione a due sul trascorrere del tempo, sulle sue vestigia antiche e sulla complessità del legame tra due esseri di sesso opposto che s’incontrano per creare nuova vita e ricrearsi, Terramara già sfruttava tutti i significati e simboli del suo titolo. Storia d’amore danzata, la pièce lasciava fluire nell’arco di un’ora e in modo originale e desueto, il sentimento più importante e segreto di due amanti nel loro impegno quotidiano, nel tempo comunitario del lavoro. Ed ecco perché le gerle piene di arance da svuotare e riempire, le fascine di paglia da caricare e spostare nello spazio immaginario di campi baciati dal solleone, durante i mesi del raccolto. In una natura, bucolicamente riscoperta come non avremmo visto in nessuna altra pièce di quegli anni (…) si danzava il desiderio di trovare nel lavoro pure amaro e faticoso la scansione del tempo secondo le leggi della terra e dunque i ritmi originari dell’unione tra maschile e femminile. Centinaia di arance riversate in scena non potevano essere, qui, un semplice ed esplicito omaggio al teatrodanza dalle scenografie naturalistiche di Pina Bausch, ma la necessità del colore/calore capace di accendere gesti e sguardi e di riversarli verso il pubblico in un abbraccio emotivo. Su questo turgore espressivo e drammatico, sprigionato nel rigore di una danza comunque formale, fa leva anche la ricostruzione 2013 di Terramara. Ora viene danzato da una coppia di giovani scelti nel bacino veneto, e guidati dai coreografi originari. La sua rinascita è, come i precedenti capisaldi italiani di RIC.CI, non certo pura archeologia, ma esemplare e fresca rigenerazione di una pièce generosa nell’intreccio coreografico, nella costruzione anche musicale, quanto nella fisicità a tinte arancioni.
Marinella Guatterini
Biglietti: € 15 / 12
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INFO: Fondazione Fabbrica Europa per le arti contemporanee
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