Emilio Russo che ha curato la drammaturgia e la regia di “Bennisuite” è un artista che riesce nel difficile lavoro di sistemare i vari tasselli di un mosaico policromo, riesce cioè a creare un melting pot di discipline diverse (recitazione, canto, musica). Una commistione di linguaggi che “il nostro” sta portando avanti da diversi anni.
Dato a Russo quel che è di Russo entriamo nel merito dello spettacolo. I testi di Stefano Benni sono difficilmente classificabili perché il suo caratteristico surrealismo impastandosi col comico, la satira, la fantasia, il paradosso, la poesia o il puro divertissement genera un intelligente esilarante godibilissimo spettacolo.
Certo che dei vari fattori che compongono la pièce, la performance dei due “stralunati” musicisti (Luca Domenicali e Danilo Maggio) della “MicroBand” è quella che più colpisce e strappa entusiastici applausi. Gli spettatori ne apprezzano l’eccezionale virtuosismo (suonano tutti gli strumenti) e la loro capacità interdisciplinare che mette la musica e la mimica al servizio della comicità. L’aggettivo eccezionale vuol significare che mentre di attori bravi ce ne sono tanti (e dio sa quanto siano bravi i “nostri”), artisti come quei due ce ne sono pochi a livello internazionale.
Le bellissime ballate di cui ci limitiamo a ricordare “Il poeta” nell’indimenticabile interpretazione di Marco Balbi e “la giraffa” (che ha il cuore lontano dai pensieri, si è innamorata ieri, e ancora non lo sa), sono tutte scritte da Stefano Belli e messe in musica dalla MicroBand.
Per quanto riguarda gli attori non vorremmo stilare classifiche ma (c’è sempre un ma) i due mostri sacri Marco Balbi e Lucia Vasini a motivo della loro versatilità che gli permette di eccellere nella recitazione (vocalità e gestualità) e nel canto, meritano una menzione più articolata rispetto ai bravissimi Nicola Stravalaci e Marcella Formenti. In realtà per dare un giudizio più ponderato dovremmo vedere le due coppie a parti invertite.
Il Marco Balbi cantante l’avevamo già apprezzato in un recente passato quando cantò la celebre “Ma mi”, ma l’interpretazione questa sera di una canzone di cui mi sfugge il titolo dobbiamo dire che è da brividi.
Se il meccanismo teatrale funziona con scansioni perfette fra musica e parola nell’insieme di un ritmo serrato il merito è del regista (ancora lui) Emilio Russo.
Dopo un finale musicale esplosivo coinvolgente e un po’ ruffiano gli spettatori non si decidevano a lasciare il teatro.
Per questa boccata di ossigeno e questa flebo di allegria dobbiamo ringraziare tutta la compagnia ricordando pure l’apporto della costumista Mariella Visalli e del funzionale servizio luci di Mario Loprevite.