La serata evento della Carmen di Bizet secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio ha aperto la stagione estiva del Teatro dell’Opera di Roma alle Terme di Caracalla. Altro spettacolo rispetto all’opera lirica rappresentata nei giorni precedenti al Costanzi, nella versione classica.
Un caleidoscopio di musica, idiomi, colori, ritmi, costumi in questo allestimento-rivisitazione, in collaborazione con l’Opéra Théâtre de Saint-Étienne, che ha già debuttato al Festival Nuits de Fourvière a Lione nel giugno 2013.
Per gli artisti dell’Orchestra di Piazza Vittorio provenienti da tutto il mondo, la musica è occasione di riscatto sociale e strumento di comunicazione e integrazione culturale e ogni opera, inedita o famosa, rappresenta una storia, universale e attuale, che va oltre le contingenze temporali e geografiche. Da questo assunto scaturisce l’ardire di avvicinarsi a un’opera lirica, frantumandola nei suoi elementi costitutivi e assemblandola permeata di eclettismo culturale. Questa visione ha portato al successo il “Flauto magico” di Mozart, di buon auspicio per quest’altra incursione nel mondo della lirica.
Nel crepuscolo che avvolge i monumentali ruderi archeologici delle Terme di Caracalla, sontuosa scenografia naturale di ogni rappresentazione estiva, ma, in questo specifico allestimento ulteriore elemento di commistione culturale e storica, una carovana di nomadi si dirige dal Rajasthan in Spagna sull’itinerario che i gipsy hanno percorso attraverso l’Asia verso l’Europa, mentre il coro racconta e vigila dall’alto con ammonizioni,
La narrazione, con connotati di opéra comique, si svolge su due livelli, scenografici e interpretativi. Quello terreno, su cui viaggiano i gitani, e quello extraterreno del coro, posto su un traliccio di tubi metallici, che in parte racconta la storia e in parte interviene nella vicenda.
Carmen è una donna matura, non una mangiauomini. Don José ha 20 anni, viene raccontato il loro amore, dichiara Mario Tronco, regista della mise en scéne e curatore delle elaborazioni e degli arrangiamenti insieme a Leandro Piccioni.
La sigaraia (interpretata dalla fascinosa e materna Cristina Zavalloni) allontana da sé l’amore preferendogli la libertà e Don José (promesso a Micaela) è il ventenne indiano Sanjay Khan che sa per nascita cosa siano i matrimoni combinati dalla famiglia. Gli interpreti, infatti, sono stati scelti per le similitudini caratteriali e culturali con i personaggi, come si conviene in un allestimento che vuole attingere alla tradizione popolare, piena espressione degli stilemi fondativi dell’Orchestra di Piazza Vittorio, qui coadiuvata dal Coro lirico di Saint Étienne Loire e dall’Orchestra giovanile del Teatro dell’Opera di Roma.
Un accampamento tzigano, panni stesi, tendoni che riparano dal solleone, danzatrici fasciate da preziosi sari, percussionisti etnici, danzatori che volteggiano su ritmi indiani, arabi, africani, jazz, pop, flamenco, traffici di contrabbandieri, guardie: ciascuno parla nella propria lingua, i maxischermi laterali forniscono la traduzione. La coreografia è di Giorgio Rossi, la scenografia di Lino Fiorito,i costumi di Katia Marcanio.
Il torero Escamillo è il tunisino Houcine Ataa, Micaela è l’artista circense e vocalist Elsa Birgé che nel finale, sulle note jazz e blues di George Gershwin, canta la toccante “The man I love” mentre sfila l’intero cast.
Molta strada ha percorso l’Orchestra di Piazza Vittorio dal multietnico quartiere Esquilino, dove è nata nel 2002 dall’Associazione Apolli 11 per iniziativa di Mario Tronco e Agostino Ferrante, dando spazio a tutte le etnie, le lingue, le culture.