Il 16 e 17 giugno Napoli era in pieno teatro festival, eppure la chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco è riuscita a fare più notizia del festival internazionale che c’era in città. Nella chiesa di via dei Tribunali andava infatti in scena “Opera pezzentella”, il nuovo lavoro di Mimmo Borrelli, il drammaturgo flegreo, famoso sia in città che fuori, ma che proprio non riesce a trovare uno spazio nei teatri cittadini. Un’opera annunciata da molti mesi, un lavoro di scrittura visionario e bellissimo dedicato proprio a quella chiesa che custodisce nell’ipogeo i resti delle “anime pezzentelle”, le persone che non trovavano sepoltura, i cui teschi venivano “adottati” dai popolani per un rito macabro: appunto il culto delle anime pezzentelle. I napoletani hanno sempre creduto nell’aldilà e si pensava che curando i teschi, dando loro “rifrisco”, quelle stesse anime potessero fare da tramite tra il regno dei vivi e quelle morti. Insomma i napoletani adottavano i teschi per chiedere grazie, miracoli e intercessioni, quello che generalmente si chiede ai santi. Ve ne sono in città di posti che testimoniano questo rito, come il Cimitero delle Fontanelle nel quartiere Sanità, un ossario con teschi famosi e storie connesse, o proprio la chiesa del Purgatorio ad Arco, con la sua anima più celebre Lucia. Questo antichissimo culto si fa materia drammaturgica nelle mani di Borrelli che ha eseguito ricerche ed interviste per costruire il testo.
Quella si presenta allo spettatore è una discesa negli inferi attraverso i sette peccati capitali, discesa di memoria dantesca che inizia dalla sagrestia. Ad accogliere i visitatori le anime del Purgatorio, anime in rivolta poiché i vivi non pregano più per loro, anime che mettono angoscia al visitatore, pronte ad evadere i confini in un viaggio dantesco al contrario, dove sono i morti a cercare i vivi. Le anime sono senza la loro principessa Lucia. Ogni cento anni infatti la nicchia della chiesa resta vuota per lasciare il passo ad un’altra anima infelice che abbia avuto lo stesso destino, morta per amore. Una timida Lucia si affaccia, inconsapevole del proprio destino e del viaggio che l’aspetta.
Sono sette quindi le storie a cui assistiamo nella navata principale della chiesa, storie affidate a giovanissimi attori che hanno costruito insieme a Borrelli un percorso ricco di suggestioni (al culmine di un laboratorio durato mesi). Si va da Masaniello, figura inclusa nei superbi, al salmaro delle anime, incluso tra gli accidiosi, dall’avaro Ferdinando Pastore che lucrava sul fitto dei lumini, alla “cummara Gaetanina”, inclusa tra i golosi. Fino ad arrivare alla vera protagonista dello spettacolo Lucia. Sulla sua figura molto è stato detto. Si racconta che suo padre, il nobile don Domenico D’Amore, la “vendette” a un altro nobile. Alcuni invece sostengono che morì durante la fuga in carrozza, altri che fu il padre ad ucciderla. Ancora oggi sul suo teschio molte donne portano in dono dei veli da sposa, nonostante sia stato appurato ormai che il teschio appartenga ad un uomo.
Il viaggio continua nell’ipogeo dove fa capolino anche Borrelli (che in realtà partecipa nella parte centrale della pièce mascherato a mo’ di Diavolo), nel suo mutismo con l’accompagnamento malinconico della musica assiste alla discesa di Lucia.
Uno spettacolo che necessita di grande attenzione per le mille sfumature del testo, che oscillano tra le lucide confessioni delle anime e la crudezza dei racconti, in una lingua densa ed oscura che bene rappresenta un viaggio visionario nell’aldilà. Si fa fatica spesso a capire le ragioni delle anime, urlate dai giovani attori che riecheggiano negli spazi della chiesa.
Borrelli in fondo ci ricorda che Napoli è un unico grande Purgatorio, dove le persone sopravvivono sospese tra gli inferi e la promessa mai mantenuta del Paradiso.