(1 giugno 2014)
Molto movimento e tantissimi personaggi divisi in buoni e cattivi, come in ogni fiaba, giocati sull’ironia e su una comicità che non scade mai di tono. Da bravissimi attori sono tutti entrati nel gioco scenico e si sono mossi ed espressi con naturalezza e con spontaneità, arricchendo di persona il personaggio delineato dal regista, un vero lavoro d’équipe.
Eccezionali i costumi per fantasmagoria dei colori, originalità delle linee, caratterizzazione delle fogge, accuratezza dei dettagli.
Il cast, affiatatissimo, anche vocalmente si destreggia bene tra le maglie elaborate della partitura.
La voce più bella e più interessante è quella del basso francese Jean Teitgen (Le Roide Trèfles); oltre ad autorevolezza vocale, ampiezza e rotondità ragguardevoli, il basso sa ammorbidire i suoni ed ha un bel modo di fraseggiare e di porgere.
Le Prince, gravemente malato d’ipocondria, è portato in scena in pigiama bianco e corona in testa su un letto bianco d’ospedale con delle aggiunte atipiche, ed è interpretato dal tenore Jonathan Boyd; la scrittura musicale di questo ruolo non è facile, perché segue l’umore del personaggio, che non ha una linea di canto melodica e ha qualche atonalità, pertanto il tenore si esprime inizialmente con un canto lamentoso e strascicato, a volte anche in falsetto, poi fa uscire una bella vocalità robusta ed estesa con un ottimo sostegno del fiato anche nelle frequenti progressioni acute.
Scenicamente sicura negli abiti da cavallerizza della cattiva Princesse Clarice (nipote del re con aspirazioni regali), Julia Gertseva è un mezzosoprano sonoro, incisivo ed esteso. Il primo ministro Léandre, suo complice nella congiura contro il re, ha la voce poco corposa ma ben gestita del basso Davide Damiani.
Pantalon, fedele confidente del re,è portato in scena con mimica e gestualità ridicolizzate da un mefistofelico Leonardo Galeazzi con barba e capelli bianchi e di rosso vestito; il baritono esibisce una bella voce ampia ed estesa e canta bene.
Il comico Trouffaldino, una sorta di Arlecchino in bianco e nero e faccia bianca, chiamato, purtroppo inutilmente, dal re per far ridere il Principe, non poteva avere miglior interprete di Loïx Félix, tenore leggero acuto contraltino, magnifico saltimbanco e cantante versatile.
Chi invece fa ridere inavvertitamente il principe è proprio colei che si presenta indesiderata e con intenti malefici alla festa organizzata da Trouffaldino, la perfida Fata Morgana, sostenitrice di Léandre; Trouffaldino la spinge per cacciarla e lei rotola a terra provocando una sonora risata del principe. In questo ruolo apprezziamo una magnifica Anna Shafajinskaia, bella donna fisicamente sexy e provocante in body nero e strascico per mostrare le sue grazie, che si muove tra le luci rosse del mistero e presta una voce lanciata di soprano drammatico ad un ruolo ridicolizzato. Suo compagno è il mago buono Tchélio, ben presentato con voce robusta dal baritono Roberto Abbondanza con cappello e mantello nero e fuxia.
Dentro la prima melarancia c’è la principessa Linette, cantata da Martina Belli mezzosoprano esteso dal suono un po’ chiuso, nella seconda c’è Nicolette, impersonata dal soprano Antoinette Dennefeld, le due muoiono per mancanza di acqua; nella terza c’è Ninette interpretata da Diletta Rizzo Marin, soprano melodioso dai lunghi fiati.
Per la Cuisinière si è scelta la versione più fiabesca dell’orco cattivo, perché la interpreta un uomo, in più gigantesco, in più con voce di basso dai gravi un po’ sfocati, in più vestito da gallina con un grande mestolo in mano; Kristinn Sigmundsson è favoloso in questo ruolo.
Il diavolo Farfarello bardato da aviatore è il baritono Ramaz Chikviladze; Larissa Schmidt, mezzosoprano esteso dal bel suono, è una frizzante Sméraldine nera col gonnellino di paglia; Le Maître de Cérémonies è Andrea Giovannini e Le Héraut è Karl Huml.
Artem Terasenko, Yerzhan Tazhimbetov, Edoardo Ballerini, Sung-Cehn Kang, Silvano Bociai, Lukas Zeman e Dielli Hoxha, sette allievi del Conservatorio “Luigi Cherubini” di Firenze, e i professionisti Alessandro Calamai, Saverio Bambi e Dario Shikhmiri sono les Ridicules.
Gestualità comica anche per le masse, impersonate dal Coro del Maggio Musicale Fiorentino, di grande peso vocale e teatrale, ben preparato dal M° Lorenzo Fratini.
Ma la vera star della serata è il giovane regista sudafricano con radici anconetane Alessandro Talevi, che sfoggia idee fantasmagoriche, creatività esilarante, consapevolezza e meticolosità nel delineare un mondo fiabesco tra il grottesco e l’assurdo, pur non completamente avulso dalla realtà, di non facile rappresentazione, senza mai scadere nella volgarità e nel caricaturale. Bravissimo nel gestire e nel caratterizzare una gran massa di gente, ha idee geniali e fresche, che ci riportano al sarcasmo di Dario Fo e al movimento di Michieletto, idee che non sono mai estemporanee ma determinate da una profonda conoscenza della materia. Una regia divertente e raffinata che non si è fatta mancare niente. La lettura e l’interpretazione del regista hanno sempre una giustificazione concreta, perché scaturiscono dalla conoscenza e dalla riflessione.
Supportato dalla dotta e fiabesca scenografia di Justin Arienti, dalle appropriate fantastiche luci di Giuseppe Calabrò, che fa uso anche dell’occhio di bue e di faretti puntati dall’alto, dai meravigliosi caratteristici costumi di Manuel Pedretti, ha allestito uno spettacolo fantastico, degno di essere riproposto in altri teatri. Un vero trionfo.
L’impianto scenico è particolare: ai lati modernissime impalcature di metallo come habitat delle masse, al centro il boccascena di un teatrino baroccheggiante che s’illumina a tratti nei contorni e che apre e chiude il sipario, come si faceva nella commedia dell’arte, per il cambio dell’azione, del fondale e della scena, carte geografiche prima dell’Europa poi del continente americano proiettate sul fondo; colpi di scena per l’ingresso dei due maghi (nel buio a destra e a sinistra del teatrino all’improvviso s’illuminano tra fumi sinistri due porte da cui escono due scale per la discesa in campo della magia, accompagnata da musica pesante e guizzi e strappi in orchestra; riferimento ai cartoni animati per i mascheroni vestiti da oggetti da cucina e la terribile cuoca trasformata in gallina, ma la scena più esilarante è quella del viaggio dall’Europa all’America mimato dal Principe, Truffaldino e Farfarello alla ricerca delle tre melarance, di cui il principe si è innamorato su maledizione di Fata Morgana, mentre un aereo biplano evidenziato dall’occhio di bue percorre la sua rotta sul fondale (una scena da “Piccolo Principe”, veramente geniale) tra le nuvole portate di corsa da figuranti attraverso il palcoscenico come nelle comiche. Le tre melarance poi sono bellissime, filigranate, trasparenti, illuminate, più uova di Pasqua che arance, ed è giusto perché all’interno c’è la sorpresa. La scena più shoccante che ci ha fatto esclamare “OOOOOOHHH” è il ritorno all’aspetto umano di Ninette, che la maga aveva trasformato in topo per sostituirla con Smeraldine che sarebbe andata in sposa al Principe riluttane: al momento delle nozze un’enorme inquietante coda di topo esce dal sipario del teatrino, il mago l’afferra, la tira e cade il sipario lasciando apparire la vera principessa in un biancore scintillante (un vrai coup de théâtre).
Assistente regista Silvia Paoli.
La musica fortemente descrittiva delle situazioni, e quindi brillante, tronfia, guizzante, dissonante, ironica, greve, sospesa, irruente, cadenzata, delicata, ritmata, di difficile esecuzione per i tempi che il “pianista” Prokof’ev ha conferito alla partitura orchestrale, è eseguita con precisione e vigore dall’Orchestra del Teatro Comunale di Firenze, diretta dallo slovacco Juraj Valčuha, esaltando e completando la godibilità dell’aspetto visivo dell’opera. Ne esce uno spettacolo veramente bellissimo, che vorrei rivedere.